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fino al 19.VIII.2007 Pietro Tacca Carrara, Centro delle Arti Plastiche
toscana
Una piccola ma preziosa mostra conduce alla riscoperta di un grande scultore. Un artista che tra Cinque e Seicento spopolò in Europa con i suoi bronzi, ma che il Novecento ha condannato all’oblio…
Pietro Tacca, chi era costui? Parafrasiamo il celebre incipit manzoniano, ma col filosofo che sveste i suoi panni per indossare quelli di un artista, peraltro coevo ai fatti narrati dal grande don Lisander sebbene in tutt’altre lande, non sul tranquillo ramo del lago di Como ma nella ruvida Toscana rilucente di marmo, in quel di Carrara. E per rispondere alla domanda ci addentriamo nelle sale dell’ex convento di San Francesco, fresche di restauro e ammodernamenti, per visitare la mostra dedicata a Pietro Tacca. Carrara, la Toscana, le grandi corti europee. E cosa scopriamo? Che il nostro Carneade era armato di martello e scalpello, e di mestiere faceva lo scultore. Pure bravo, tanto che quattro secoli fa –era nato nella “capitale del marmo” nel 1577– era tra i più acclamati d’Europa, conteso da personalità di primo piano non solo in Italia, ma anche alle corti di Francia e di Spagna. Curioso il destino di questo allievo del Giambologna, dal quale ereditò bottega: celebre ai suoi tempi e imitato, studiato e ammirato fino alle soglie del secolo scorso, ora è finito quasi del tutto nel dimenticatoio, al punto che la piccola –solo una trentina di pezzi tra disegni, dipinti e bronzi del Tacca e di altri contemporanei– mostra carrarese curata da Franca Falletti è in pratica l’unica occasione finora data per vederne radunata con criterio l’opera. Che comprende, in verità, indiscutibili capolavori. A cominciare dai Quattro Mori, che Tacca realizzò a Livorno tra il 1620 e il 1626 per il monumento a Ferdinando I, parte di un super-progetto di autopromozione medicea che prevedeva l’abbellimento del porto della città con tanto di fontane “a grottesche”. Talmente realistici questi schiavi africani incatenati ai piedi del Granduca, talmente possenti colossali e ricchi di pathos che furono copiati in toto dal maggior scultore barocco fiorentino Giovan Battista Foggini nei suoi monumenti equestri a Carlo II di Spagna (1690, al Prado) e al Kaiser Giuseppe I (1706, a Monaco).
In mostra, com’è ovvio, se ne vede il solo bozzetto, ma anche uno studio a sanguigna opera del Volterrano (Baldassarre Franceschini) intelligentemente accostato ad un’altra sanguigna rappresentante un solido nudo maschile un tempo attribuito al Tacca perché creduto studio di uno schiavo, ora invece assegnato al madrileno Sebastián Muñoz.
Tra le altre opere interessanti, la mostra propone il famoso cinghiale dell’omonima fontana che il Tacca trasse (1612?) dalla statua ellenistica che il Granduca aveva acquistato verso il 1560, e arricchì virtuosisticamente alla base di foglie, piante e altre piccole creature, nonché il busto di un gonfio e malato seppur fiero Ferdinando I (1609), mai però terminato a causa di alcuni errori tecnici, infine lo splendido bronzetto che rappresenta il quindicenne re di Francia Luigi XIII a cavallo, baldanzoso e imperiosetto. Questo, come il Cavallo rampante del Bargello, è senz’altro ammirevole per la resa quasi pittorica delle superfici, la raffinatezza del modellato, e il guizzo di energia, tutta muscolare, che promana dall’equino: caratteristiche che dimostrano la profonda assimilazione della lezione non solo del maestro, ma anche di Donatello, del Verrocchio, di Leonardo. I pezzi più toccanti restano però, a nostro giudizio, i due Crocifissi, in cartapesta policroma e legno dipinto (1618 ca., Firenze) e in bronzo e legno (1626, Mantova): il primo, da poco restaurato, di grande tensione e patetismo, il secondo di rara intensità emotiva.
“Non val ventura chi non s’affatica”, recita una lapide conservata all’Accademia di Carrara. E alla mini-esposizione carrarese, che per la lodevole riproposizione di Tacca si inserisce tra le iniziative più interessanti della XII Biennale Internazionale di Scultura, va solo attribuito il peccato (invero veniale) di portare un titolo un tantino altisonante, che si capisce concepito più che altro per attirare l’attenzione. Molto bello, infine, il catalogo, che grazie ai puntuali saggi della stessa Falletti, di Francesca Petrucci, Vanessa Montigiani, Eike D. Schmidt e Dimitrios Zikos permette di comprendere Tacca a livello tecnico e artistico, ma anche nell’eredità lasciata nell’arte del bronzo italiana ed europea. E consentendogli così di riemergere dall’ingiusto oblio a cui il Novecento lo aveva condannato.
elena percivaldi
mostra visitata il 6 maggio 2007
dal 4 maggio al 19 agosto 2007
Pietro Tacca – Carrara, la Toscana, le grandi corti europee
Carrara, Centro Internazionale delle Arti Plastiche, ex convento di San Francesco (via Canal del Rio) – Orari: maggio-giugno 10.30-12.30 / 14.30-20.30; luglio-agosto 10.30-12.30 / 17-23. Ingresso € 5 intero, € 3 ridotto. Apertura gratuita: 23 maggio, 6 giugno, 4 luglio,1 agosto. Con il biglietto della mostra sono previsti sconti e agevolazioni. Informazioni: 0585 779681. Catalogo Mandragora, Firenze, € 40
[exibart]
Ho visto la mostra, concordo. Titolone un poco eccessivo.