La Transgiordania medievale, una frontiera evanescente ai bordi del deserto arabico, tra Siria meridionale e
limes arabicus. Vent’anni di scavi, protagonista la missione archeologica dell’Università di Firenze, per riportare alla luce il prolifico stratificarsi di civiltà, lungo la via dell’incenso.
Ad accogliere questo spettacolare viaggio nello spazio e nel tempo, la Limonaia del Giardino di Boboli. Velari e riproduzioni a grandezza naturale introducono nell’Aula del Trono del Palazzo degli Ayyubidi di Shawbak. Nella terra che fu di Petra e dei Nabatei, sottomessa da Traiano nel 106, contaminata dalla cultura bizantina e ommayade, lasciata all’oblio dopo la conquista persiana del 628, ecco irrompere i crociati di Baldovino I di Gerusalemme.
La valle è di nuovo popolata, dalla sabbia emerge il più grande opificio tessile del Mediterraneo. E su un rilievo calcareo emisferico s’impianta una cittadella fortificata di forma ellittica: Shawbak. Da fortezza bizantina a baluardo crociato, e quindi raffinata città islamica. La Signoria crociata di Transgiordania resisterà fino all’arrivo di Saladino, capostipite degli Ayyubidi. Questo lembo di Vicino Oriente torna al suo ruolo di frontiera: cerniera feconda fra Egitto e Siria, crinale fra civiltà in grado di progredire e combattersi in un’osmosi senza soluzione di continuità.
Sotto gli alti ed imponenti soffitti della Limonaia, le linee dure ed essenziali di una
Stele Nabatea dell’Idolo-Occhio, enigmatiche lucerne con segni zodiacali. L’arrivo in queste terre della VI Legione di Diocleziano è fissata nei luminosi cristalli del marmo di una testa: sarà di Elio Cesare o di Lucio Vero?
Un pulpito in candido marmo turco racconta mescolanze di religioni e l’intreccio operoso degli scambi commerciali. Tra cristalli e fasci di luce, gli oggetti di un’opulenza intellettuale: incensiere e lucerne, bollitori a forma di cammello, ceramiche invetriate e piatti decorati a lustro metallico.
Intanto una corona di castelli cinge la vallata, a Shawbak Saladino sperimenta l’uso della catapulta. Nonostante e forse grazie allo scontro, abili artigiani di fede incerta intagliano una splendida
Architrave ayyubide con decorazioni bipartite islamiche e cristiane.
Ed ecco un nuovo seme a fertilizzare la frontiera orientale, i mamelucchi: con loro inizia la defortificazione, lo sviluppo economico e la produzione dello zucchero. Dagli strati più superficiali risorgono contenitori e attrezzi per la lavorazione del dolce nettare vegetale.
Ma questo viaggio crono-spaziale lungo la frontiera delle civiltà mediterranee, output comunicativo di un lavoro accademico, rigoroso e scientifico, è possibile grazie a dosi massicce di multimedialità: format simbolici costituiti da pannelli che replicano quesiti,
iconic format ottenuti da video e proiezioni, tavoli ipermediali che favoriscono la giocosa interazione con i contenuti della mostra.
L’obiettivo è il coinvolgimento sensoriale, la piena interattività del percorso, che spingono il visitatore alla ricerca dei significati personali.