Le opere di Gregorio Botta appartengono a quel tipo di produzione artistica difficilmente classificabile in uno schema predefinito, in uno dei tanti “ismi” che costellano la storia dell’arte. L’artista napoletano (1953), residente a Roma da diversi anni, si avvale di una serie di soluzioni schematico–concettuali che non possono definirsi propriamente astratte, in perfetto bilico tra un geometrismo caratterizzato da forme pure e ieratiche, come i cerchi e gli ovali, e un espressionismo astratto alla Rothko, soprattutto per il continuo avvalersi di strisce colorate compatte e ruvide e di una scansione ritmica della superficie.
Tuttavia se proprio di astrattismo vogliamo parlare, si può dire che l’arte di Botta giunge a questo tipo di risultato mediante un lento e graduale processo di scarnificazione, defigurazione e lenta sparizione della forma, trovando un illustre precedente in Mondrian così come in Kandinskij.
Le opere presentate a Siena ai Magazzini del Sale, realizzate tra il 2005 ed il 2006, ci guidano con un grande senso di leggerezza ma anche di profonda riflessione attraverso un percorso costellato di installazioni. Il ruolo centrale è assegnato dalla materia, una materia appartenente alla tradizione –vetro, cera, ferro– manipolata però secondo canoni contemporanei.
I quadri con strisce colorate da pigmenti o con applicati vetri sagomati, le composizioni con ciotoline dal sapore morandiano o con cerchi ed ovali concentrici ed intersecanti, le installazioni che si avvalgono di meccanismi di movimento, costituiscono per Gregorio Botta qualcosa di più di una semplice raffigurazione. Sono una riflessione sulla relazione tra arte e pubblico. Il pubblico non è più destinatario passivo, ma conferisce un senso al lavoro dell’artista, completandolo. Tradizione e contemporaneità, mito e realtà si fondono continuamente nei lavori esposti a Siena.
I tre Pozzi (2006), installazione composta da cilindri in ferro scuro in cui sono racchiusi
Piccolo plato (2005) infine ripropone il mito della caverna secondo la versione di Platone. Una casetta in ferro nero montata su quattro barre di metallo è posta innanzi ad un vetro appoggiato ad una lastra di ferro nero: l’immagine si proietta nella superficie riflettente posta innanzi a sé, ma non è totalmente chiara. Rimane inafferrabile, come le idee.
sara paradisi
mostra visitata il 19 ottobre 2006
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