Dopo l’ormai consolidato Fathi Hassan, la galleria senese propone un giovane artista della propria scuderia, Antonello Plantamura, classe 1974, pugliese trapiantato in Toscana ormai da una decina d’anni.
Questa personale è la logica conseguenza dell’evento espositivo che si è tenuto nel dicembre 2005, sempre sotto l’ala protettrice della Biale Cerruti, presso un facoltoso studio di ingegneria di Siena, nel quale vennero presentate 13 opere realizzate dall’artista tra il 2004 e il 2005.
Plantamura lavora sulla grande dimensione, invade lo spazio con il pennello, lo assoggetta a sé per esprimere sogni, ambizioni, considerazioni sulla contemporaneità. Due sono i temi cui essenzialmente si dedica: i “cieli”, emblema della propria ambizione artistica, della propria voglia di spiccare il volo, e i “letti”, nei quali si consolida quella voglia di casa e di famiglia che l’artista rincorre da tempo. A questi soggetti, divenuti ormai un segno distintivo della pittura di Plantamura, si affiancano nuovi elementi: le strade, soggetto comunque già utilizzato in passato (1997 – 1998), e la figura umana, scelta per dar voce ad elementi di protesta sociale.
Nei “cieli” l’artista lavora con due soli colori, il blu elettrico e il bianco, evocativo di una luce abbagliante. Con una gestualità a metà strada tra l’espressionismo e l’informale, pur con notevoli accenti figurativi, Plantamura dà vita a figure bianche, forse uccelli, che si vibrano in volo lasciandosi dietro una scia luminosa sul cielo notturno ricoperto di stelle splendenti. Sono dei “jet personali”, come suggerisce il titolo della personale, Tengo un jet personale a decollo verticale, sui quali salire con la fantasia. Allo stesso tempo possono però sembrare emuli di Icaro, soggetti a sottostare alla propria fragilità, sogni e ambizioni disilluse in un soffio.
La fragilità e l’incertezza sono due delle caratteristiche che emergono soprattutto dalle tele raffiguranti i letti. Letti singoli o matrimoniali campeggiano sulle tele, in una profusione di rossi, blu e bianchi, ma anche di nuovi colori come il verde mare ed il verde bandiera, come emblemi del concetto di stabilità affettiva e familiare.
Sulla stessa scia si collocano le strade, simbolo dell’errare alla ricerca di qualcosa. Strade di un bianco accecante solcano paesaggi astratti caratterizzati da un verde brillante o da un giallo intenso, quasi irreali; non si incrociano mai ma, come tangenti, si sfiorano. Interessante è il gioco delle prospettive e dei punti di vista, che Plantamura si diverte a creare con opere sotto forma di dittico. Le parti che compongono l’opera si possono guardare singolarmente oppure insieme, spostandole a proprio piacimento, come nel caso di Ji da do e tu da dà (2006) e Non ho letto proprio tanto bene sulle strade bianche (2006).
L’artista, vittima del suo stesso nomadismo, cerca di esorcizzare la negatività e il vuoto interiore che questo continuo vagare ha lasciato utilizzando l’ironia. L’ironia di Plantamura si concretizza significativamente nell’utilizzo, all’interno dei titoli conferiti alle opere, di espressioni dialettali tipicamente pugliesi, quasi uno sberleffo ai benpensanti dell’arte, che smorzano l’apparente seriosità delle composizioni.
sara paradisi
mostra visitata il 18 marzo 2006
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