L’irruzione dell’ispirazione creativa nell’arredo domestico per mezzo del design: questa è la tesi di fondo suggerita dalla nuova mostra proposta alla Fondazione Ragghianti.
Le contaminazioni fra arte e design in Italia sono esplorate in un percorso espositivo scandito cronologicamente o per “scuderie”, nel tentativo di cogliere l’ambiente vitale delle tendenze affermatisi negli anni ‘70, ‘80 e ‘90, incarnate da una sessantina di artisti-architetti d’ingegno creativo. Oltre centoventi le opere esposte, tra pezzi originali, prototipi, prodotti artigianali e industriali: sfilano, divise da discreti pannelli in legno, eccentriche lampade, divertenti poltrone, spiritosi mobili e improbabili divani. Manca solo una sedia su cui riflettere e osservare questo silenzioso esercito di oggetti violati nella loro stereotipizzazione e spinti al parossismo, al gigantismo, al protagonismo forzato, pur tenendo miracolosamente ferma la loro utilità e funzionalità.
L’oggetto si anima, quasi volesse parlare, prestandosi al linguaggio dell’arte. Di fondamentale importanza è il titolo stesso attribuito alle creazioni-creature in mostra, sempre profondamente ironico verso quel mondo del quotidiano percepito così piatto, così scontato da aver bisogno di una rivoluzione di carattere totalizzante: il
Manutengolo (
Adolfo Natalini) è un mobile,
Ecate (
Toni Cordero) è una lampada, la
Teiera serpente è un rettile (
Luigi Serafini), il mastodontico
Divano bazaar (
Giovanetti) è un nido rosa e bianco.
Il percorso si apre con il cosiddetto anti-design degli anni ‘70, influenzato dalla Pop Art, dal kitsch e dai motivi di una natura artificiale, vivacizzata da effetti luminosi. Ci si sposta poi sul sistema poetico degli oggetti “che comunicano” della decade degli ’80; per culminare nel “progetto della bellezza” portato avanti dagli studi e laboratori
Memphis e
Alchimia, con l’esecuzione di “mobili d’artista” che valicano gli anni ’90, interessando esponenti della Transavanguardia, impegnati a trasmettere nelle loro creazioni un senso fiabesco, onirico, intimistico.
Chiude l’esposizione (ottimamente presentata e curata) la sezione su Megalopoli, la galleria d’arte e show-room di Agneta Holst – animata dalle invenzioni di
Enrico Castellani,
Alik Cavaliere,
Sandro Chia,
Mimmo Paladino,
Gianni Pettena,
Michelangelo Pistoletto,
Giò Pomodoro,
Ettore Sottsass,
Shama -, che risente di una poetica dell’oggetto frammentaria quanto la nuova realtà mondiale che si va delineando agli inizi del XXI secolo.
Piace concludere con una citazione da uno dei pannelli didattici conclusivi della mostra: “
Arte di sempre, arte sempre, in mezzo a tutti, il ‘dèsain’” (Manlio Brusatin).