Ricorda il curatore della mostra, Enrico Pedrini, che
Daniel Rothbart (Stanford, 1966; vive a New York) ha pubblicato nel ‘96 un testo in cui esplora i collegamenti fra l’arte americana del dopoguerra (dall’espressionismo astratto al concettuale) e la metafisica ebraica, giungendo alla conclusione che molte delle caratteristiche delle ricerche statunitensi dagli anni ‘50 in poi -l’aniconicità, per esempio- sono riconducibili a elementi tratti dalla Cabala.
Più che alla contemporaneità più stretta, dunque, Rothbart collega le forme artistiche a quella “
cultura della memoria non razionale e irreale del mondo dei miti, e dei simboli, siano questi religiosi o laici”, come scrive Pedrini.
È allora in quest’ottica che acquistano un senso pieno le opere in mostra alla galleria fiorentina Il Ponte. Parlare di esposizione pare tuttavia riduttivo, visto che il giorno dell’inaugurazione le opere di Rothbart sono state animate da una serie di performance. Protagonisti gli artisti e i critici invitati e persone del pubblico, filmate dall’artista stesso.
Lo spazio è riempito di sfere: una serie di venti ciotole metalliche, di dimensioni differenti, che Rothbart porta con sé da vent’anni, e alcune nuove sculture, tutte riconducibili a forme circolari. La sfera è simbolo di infinito, di armonia, di eterno scorrimento (e forse non è un caso che una delle sculture in mostra assomigli a una ruota). Un’armonia che, tuttavia, è ottenuta dalla tensione fra gli opposti più che dall’eliminazione delle differenze. Così, le ciotole, quasi versioni animate, pratiche della sfera, sono allo stesso tempo forme che accolgono al loro interno e barriere che escludono, delimitano una porzione di spazio.
Alla sfera si accompagna il suono: quello delle sfere, appunto (da cui il titolo della mostra, che si rifà a un passo del primo canto del
Paradiso dantesco, ripreso a sua volta dal
Somnium Scipionis di Cicerone): la musica altro non è che l’armonia prodotta dalle sfere celesti nel loro girare.
Il suono è presente “concretamente” in mostra, grazie al grande batacchio metallico che produce un effetto acustico profondo, prolungato. E anche il suono, si sa, si muove attraverso l’aria in onde sferiche.