Un tuffo negli anni Settanta, in una Firenze ricca di iniziative culturali, desiderosa di navigare di nuovo in acque internazionali dopo un lungo periodo di isolamento artistico tanto splendido quanto provincial-ghettizzante. Un gruppo di artisti percorrono un territorio comune: il fare, il calarsi nella concretezza del materiale, dialogare con esso subendone il fascino, percependo i contorni e le trame, evidenziando le linearità o le asperità. Ognuno con il proprio approccio e la propria sensibilità.
Paolo Masi (Firenze, 1933), Lanfranco Baldi (Firenze, 1933-1990), Luciano Bartolini (Anchetta, Fiesole 1948 – Milano 1994) sono uniti in questo percorso espositivo alla galleria Frittelli Arte Contemporanea. Percorso che riporta a un tempo e a una pratica concreta-esperienziale che li ha accomunati in un breve, ma intenso tratto di vita. Lontani dal celebrare la superficie della pittura in senso analitico, essi studiano il materiale-supporto per estrapolarne con pochi gesti incisivi le potenzialità intrinseche. In mostra con loro le opere di Lucio Pozzi (Milano, 1935) e Richard Tuttle (Rahway, New Jersey, 1941), testimoni internazionali di condivisione intuitiva ed operativa.
Le tele di Paolo Masi riflettono ancora un’inesauribile freschezza. Nonostante nascano in un periodo in cui la speranza nell’ideologia salvifica è tramontata, il recupero artistico avviene nella riappropriazione del materiale. L’artista cerca e trova nella struttura intima della tela di ghinea l’estro creativo. La tesse con meticolosità maniacale incollandovi o cucendovi fili leggeri, che producono trama su trama ed evidenziano la linearizzazione della struttura. Anche il cartone da imballaggio lo attrae. Incolla adesivi, veline a strati, cerca un impatto percettivo e rende una visualizzazione anche laterale dell’opera da cui è possibile scorgere la costolatura che regge i suoi Cartoni da imballaggio (1973/76).
Lanfranco Baldi viene da un’altra formazione, dall’artigianato, dalla maestria del “fare”. L’incontro con Masi lo stimola a “declinare le forme della pittura materiale”, e in questo transito che “…fasi della sua storia personale trovano un momento di coagulo particolarmente felice” (Pier Luigi Tazzi).
Grandi opere, sempre formato quadrato, le tele dal 1971 al 1977 si arricchiscono di tecniche miste, nastro adesivo e spago su lamiera, carta gommata e spago su truciolare, busta di carta su cartone e cornice.
Accanto Luciano Bartolini nei suoi “vomiti”(così li chiama l’artista) imbelletta le tavole e i cartoni con i kleenex. Parossisticamente li imbeve di aniline, li segna d’oro come in oro su kleenex su carta, li enfatizza con cornici e passe-partout, li serializza facendone un cardine portante della sua anti-arte.
La forza creativa e le sinergie d’intenti sembrano essere transitate nel tempo e trasferite a due giovani artisti toscani Emanuele Becheri (Prato, 1973) e Filippo Manzini (Firenze, 1975). Un trentennio dopo ripercorrono un tragitto che si dispiega nei Rilasci del primo e nelle incisioni su carta dell’altro esprimendo un incontro trasversale fra generazioni e un linguaggio intramontabile.
daniela cresti
mostra visitata il 5 maggio 2007
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