Il set è ben studiato, la
scenografia semplice, quasi minimalista, l’immagine pulita, scattata con mano
sicura e occhio acuto. Un lavoro interessante quello di
Zoè Gruni (Pistoia, 1982),
giovane artista che la Galleria Il
Ponte segue da circa due anni.
Nella sala principale sono
allestite tredici opere, in quella inferiore il video digitale
Metacorpo 2009, che spiazza il visitatore e lo
coinvolge al punto da reiterare la visione. Nelle immagini si delinea un
ammasso di carne che spasmodicamente tenta involontari movimenti. Sembrano
inconsulti gesti di un corpo morente. Non s’intravedono arti superiori e “la
cosa” appesa si delinea in un secondo tempo come un ammasso di carne attaccato a
testa in giù a un invisibile soffitto.
L’attenzione sensoriale è stimolata
a fondo e lo stesso sonoro incuriosisce. Pian piano si raffigura un corpo umano
con un
copricapo di setole che, a guisa di scopa, muove e sposta lo strato di granturco sparso
sul pavimento. Gli spasmi si susseguono quasi in un crescendo di disperazione
espressiva di personalità, qualunque essa sia.
Senza mediazione linguistica, il
corpo si muove in “
una sorta di pre-espressione” e di “
partecipazione alla
vita delle cose e degli eventi”, come dichiara la stessa artista.
Questa personalità cerca il proprio
spazio nel caos della memoria e nell’urgenza espressiva dell’artista; si
delinea inizialmente indistinta, per poi assumere la nitidezza di opera
compiuta nella fotografia. I rimandi all’antico, al mondo contadino, ai suoi
valori e alle sue celebrazioni collettive si esprimono, ancor prima che nelle
immagini, nella scelta del materiale che i soggetti delle opere indossano. Materia povera e funzionale, la canapa è consistente, corposa ma docile. E aiuta
a rendere il concetto di contenitore, di struttura avvolgente in varie
situazioni e in diverse individualità, come il
Vescovo, il
Guerriero, la
Sposa, il
Giudice.
Le immagini interagiscono fra loro
come nell’antico rito della veglia e il contenitore assurge a ruolo di
Metato (antico essiccatoio toscano per
castagne), rifugio e luogo di convivialità.
L’espressione interattiva è stata
realizzata attraverso l’opera teatrale
Conversazione con la pietra (2007), che Zoè Gruni
ha portato nella vecchia cava
dismessa di Roselle. In un secondo tempo, l’elaborazione e la fusione d’immagini
soggettive con le forme della memoria collettiva hanno fermato la visione negli
scatti. Il risultato finalmente carpito e definito dà all’artista “
l’illusione
di riuscire a dare un po’ di sintesi al caos”.
Nella serie dei
Copricorpo, il palco è un tetto grigio al di
sopra del quale si staglia un cielo altrettanto plumbeo e nuvoloso. Il solo “
oggetto-soggetto” di vitalità è la rosea
espressività della pelle e i tocchi di rosso sulla canapa dell’indistinto
corpo.
Nella serie dei
Copricapo v’è più grinta nello sfondo, ma
l’immobilità dei personaggi riporta all’enigma della conoscenza, che è
desiderio e sforzo di comunicazione, ma anche difficoltà interattiva e
partecipativa.