L’anno fattoriano, come pensato a Firenze, sembra voler fornire l’occasione di approfondire aspetti e temi caratteristici, di solito considerati minori o marginali, come la fioritura del naturalismo in Toscana, sia nel suo aspetto di riflesso di più ampi movimenti internazionali, soprattutto francesi, sia come riflesso di eventi storici legati all’Italia post-unitaria.
L’opera di
Giovanni Fattori è rappresentata da undici opere, alcune inedite, che coprono quasi un cinquantennio della sua attività: dalla contadina degli anni ‘60 alle opere naturaliste degli anni ‘80, quando i critici lo penalizzavano fortemente per quel suo verismo senza fronzoli, non riconoscendogli il ruolo di padre spirituale di una generazione.
Proprio come guida, nel 1875 Fattori accompagnò a Parigi i fratelli
Francesco e
Luigi Gioli,
Niccolò Cannicci ed
Egisto Ferroni. Quel viaggio rivestiva senz’altro per Fattori, formatosi su idee realiste courbetiane, un’esperienza diversa, non formativa, rispetto ai giovani che scoprivano piuttosto
Jules Bastien-Lepage, e con lui una celebrazione della vita rurale che cercarono di declinare toscanamente: le
Acquaiole di Gioli e le contadine di
Adolfo Tommasi ne sono la conseguenza.
Questa pittura poteva abbandonare anche momentaneamente il tono aulico e carducciano per una visione più intima e frammentata, di cui anche Fattori era partecipe. Il confronto con le linee essenziali e classiche dell’aspro paesaggio maremmano e la sua cultura integra erano sentiti e additati da Fattori come indispensabili:
La marcatura dei cavalli in Maremma e
La raccolta del fieno in Maremma, con la loro monumentalità, fanno di questa terra dura il modello per
Eugenio Cecconi e
Guglielmo Micheli, allievo che si fece fedele interprete del linguaggio fattoriano.
Il contrasto fra città e campagna è un tema fondante per la pittura del secondo Ottocento. Partendo dal
Viale Principe Amedeo di Fattori, di misure e poetica assolutamente proprie e distinte, qui viene amplificato ed esaltato dalle vedute urbane di
Panerai (
Piazza San Gallo), in cui si spande l’entusiasmo per la vita moderna con implicazioni che sconfinano nella storia e nell’uso della fotografia, ma ormai distanti dal maestro.
Che lo apostrofa come “ruffiano” e venduto negli sfoghi privati, ma che lo difende altrove per l’individualità e le possibilità espressive, secondo quei principi di libertà e idealità ereditati dal Risorgimento, che costituiscono la sua eredità più profonda e più vera.