La galleria di Santo Ficara presenta il nudo femminile, proponendone una versione piuttosto innovativa. E tuttavia, a un primo impatto le opere esposte sembrano addirittura banali, quasi da rimanere delusi. Volti di donna e corpi senza veli, niente di nuovo. Le foto digitali rielaborate da
Isabella Gherardi (Firenze, 1962) attraggono però in maniera profonda.
Il corpo femminile è presentato attraverso il titolo stesso della mostra,
Lust: lusso sfrenato, desiderio profondo. Una chiave di lettura che contrasta con le immagini di corpi bianchi, statuari, di volti eterei, icone rese ancor più simboliche grazie al fatto di essere montati su plexiglas. Cosicché appaiono intoccabili, lontane dalla realtà più cruda. Il corpo femminile diviene in tal modo la chiave di lettura del mondo intero. Una visione panteistica, in cui la donna risulta simbolo di vita e di morte, frutto esotico e succoso, oppure animale fragile, leggiadro e al tempo stesso letale. Una polemica sulla mercificazione del nudo, dnuque, sollevata con forza ma contemporaneamente con estrema delicatezza ed eleganza. E sfruttando una tecnica classica come l’acquerello e una innovativa come la stampa digitale su plexiglas.
Al centro della sala, bianca e asettica come un laboratorio ospedaliero, spicca inoltre, bianca su bianco, una scultura in marmo. Non un nudo, ma un tappo da bibita imbarcato. Un oggetto di poco conto, riprodotto in un materiale nobile, che piegato a elle disegna il vago profilo di un corpo femminile semidisteso, alla Paolina Borghese; oppure un grande organo genitale femminile, pronto ad accogliere il desiderio. La dissimulazione della figura in un oggetto di uso comune ha d’altronde precedenti illustri (
Moore,
Brancusi), e viene qui riproposto con estrema lucidità e chiarezza.
In conclusione, una mostra nuda sul nudo. Limpida, diretta, impegnata quanto basta per far riflettere. Equilibrata e senza eccessi.