L’arte come insieme di linguaggi si fa da tramite per raccontare le ossessive manie e i quotidiani rituali di un altro smisurato contenitore di messaggi, che si cela sotto il sostantivo “città”. Un percorso caotico e alle volte confuso, come confuso è l’andamento delle nostre realtà metropolitane, si snoda all’interno dello spazio della collezione permanente del Pecci. Il piccolo gabinetto degli artisti del giardino di
Daniel Spoerri è la prima installazione che crea un ponte fra la reale dimensione cittadina da cui si proviene, l’esterno del museo, e la sua rielaborazione operata dagli artisti esposti al piano inferiore. Il complesso di opere portate da Seggiano, località ove si trova realmente il parco, è una vera e propria koinè culturale, all’interno della quale prendono vita sculture, disegni e video di artisti internazionali quali
Nam June Paik,
Soto,
Susanne Neumann e lo stesso Spoerri. Le creazioni del giardino, essenziale elemento decorativo e di relax delle nostre aree metropolitane, si scontrano -attraverso una dialettica distaccata- con il frenetico allestimento della mostra.
Si può trovare di tutto all’interno di tale assembramento: dalla città intesa quale campo semantico per riflessioni fra arte e architettura, presupposto del lavoro al neon intitolato
Il sigillo di Salomone di
Maurizio Nannucci, a luoghi contaminati da pericolose sostanze, come si palesa nell’installazione
Atom Suit Project: Antenna of the Earth del giapponese
Kenji Yanobe, una sorta di guerriero a grandezza naturale che, grazie a un contatore geiger e a un esercito di piccoli soldati, riesce a rilevare la presenza di onde radioattive nell’aria circostante.
Vari i media che affollano la collezione: si va dal cinema, con le indagini sull’urbe anni ‘60 dal montaggio serrato di
Silvio Loffredo, che ricordano gli esperimenti dei maestri degli anni ‘20 come il tedesco
Ruttman o il sovietico cine-occhio di
Vertov; alla fotografia di autori quali
Araki, con il collage di ritratti e atmosfere del proprio viaggio in Italia realizzato nel 2000, o gli scatti di caotici e dinamici agglomerati urbani indiani di
Raghubir Singh.
Inoltre, fra i collage di
Michele Perfetti, le vedute fotografiche urbane di
Andreoni e Fortugno e molto altro, al centro del percorso si trova anche il tempo per una piccola personale dell’artista toscano
Umberto Buscioni, con opere provenienti dalla collezione
Palli di Prato.
In conclusione, una bagarre di media, immagini, suoni e colori. Sicuramente dettata anche dal presupposto che oggi, all’interno delle nostre città, accade di tutto. Un po’ come sta accadendo, anche se in termini meno scontati, nell’arte contemporanea.