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“Non bisogna usare il colore perché esiste in natura ma perché è necessario al quadro” ha scritto Kandinskij ne “Lo Spirituale nell’Arte” (1910); “il colore – ha aggiunto – è il mezzo per influenzare direttamente l’anima”. Tra tutti il blu è il colore tipico del cielo, non tanto perché fenomenicamente rievocativo ma perché foriero di una quiete e di un silenzio intrinseci che nessun altro colore possiede. Più tende ai toni chiari più diventa indifferente e distante, come un cielo altissimo. Simile al suono di un flauto, quando è terso evoca la quiete, non momentanea ma eterna, quella silenziosa del bianco. Un colore intenso e profondo, pacificatore per l’animo e i sensi, foriero di una distensione non funerea ma propriamente celestiale. Ed è proprio l’azzurro cielo il colore a cui Giuseppe Ciracì (Brindisi, 1975) guarda da oltre un biennio, realizzando una serie di opere che da quella nuance trae titolo ed ispirazione. Già protagonista delle personali allestite nell’estate 2017 negli spazi espositivi dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari e nella Torre Aragonese nella Riserva Naturale di Torre Guaceto presso Brindisi, rispettivamente intitolate “Il tempo della natura” e “Quel che resta è il ciano”. La stessa serie, oggi implementata da “Il colore del tempo”, serie gemella da cui trae il titolo anche la nuova personale, compone un nuovo percorso monografico, a Pietrasanta, in provincia di Lucca, nel white cube di Kyro Art Gallery.
Giuseppe Ciracì, Il Colore Del Tempo
La recente produzione di Ciracì appare il frutto di una lunga e continua sperimentazione che progressivamente ha portato l’artista a svincolarsi dai dogmi di una tecnica disegnativa infallibile, consapevole che questa, se non condotta sulla corretta via speculativa, rischia di perdersi nei meandri del puro virtuosismo. Una ponderata libertà che, come correttamente precisato in catalogo da Michele Tavola, Ciracì ha tratto da suggestioni antiche, prima “Elogio della calvizie” di Sinesio di Cirene (IV-V sec. d.C.), poi i seicento fogli leonardeschi della Royal Library del Castello di Windsor, oggi dal volume “La natura e il paesaggio nella pittura italiana”, pubblicato da De Vecchi e Vergani nel 2002. Acquistato sedici anni fa, poco prima della partenza dell’artista per Milano, e fortuitamente ritrovato nella casa dei genitori, il libro è diventato per l’artista uno strumento di evocazione memoriale, non solo individuale ma collettivo, quasi cosmico. Il libro, infatti, reso illeggibile dall’umidità, si è subito rivelato un fecondo serbatoio iconografico di cui il pittore ha potuto disporre a piacimento dando luogo a nuove visioni, in una sorta di virtuosa competizione tra sé e i maestri antichi. L’artista, attraverso le immagini stampate, trasformate in reliquie di un tempo imprecisato, sospeso tra l’esecuzione dell’opera antica e la sua riproposizione, attua un processo di riattualizzazione della stessa, non di rado proseguendone anche materialmente le linee e gli andamenti formali. Le immagini del libro, ma anche de “I Maestri del colore”, collana edita dai fratelli Fabbri ed uscita a fascicoli negli anni sessanta, sono strappate ed esposte alle intemperie, proseguendo da un lato l’originario processo di disfacimento, dall’altro riprendendo il procedimento creativo già avviato da Ciracì nel ciclo “A Windsor”. Ne sono derivati nuovi strumenti di sfondamento della percezione, opere dotate di più livelli di lettura, dall’immagine vetusta, ai residui di bruciature raccolti entro bustine di plastica, passando per i fogli acetati su cui sono impressi pensieri leonardeschi e i disegni eseguiti dall’artista a matita o sanguigna, soprattutto mani e piedi che, oltre a contribuire al muto colloquio dei personaggi antiche, sembrano riproporne gli atteggiamenti più che le singole movenze, dalla sacrale grazia della Madonna del Belvedere di Raffaello alla potente ascesa di Cristo dipinta da Tiziano quale punto focale del Polittico Averoldi. Ma a dominare su tutto è il ciano, quella singolare tonalità cara all’artista fin dagli esordi, non ricreata, simulata o immaginata, ma determinata sulla carta dal tempo, dalla natura stessa. Un colore che Ciracì valorizza su carta o tela attraverso un raffinato non-finito pittorico e che riecheggia nello sfondo di ciascuna opera mediante ampie campiture di matrice informale, unendo passato e presente e ricordando a tutti, con delicatezza e senza disperazione, l’ineluttabilità dello scorrere del tempo.
Carmelo Cipriani
mostra visitata il 7 aprile
Dal 23 marzo al 23 aprile 2019
Il colore del tempo, Giuseppe Ciracì
Via P. E. Barsanti 29, 55045 Pietrasanta (LU)
Orari: da lunedì a domenica, dalle 11 alle 13 e dalle 18 alle 24. Chiuso il martedì
Info: +39 3341147775
info@kyroartgallery.com
www.kyroartgallery.com