Moto e arresto:
errare humanum est. E per fortuna. Per dirla con le parole di
Michele Bazzana (San Vito al Tagliamento, Pordenone, 1979; vive a Codroipo, Udine), tutto il bello della vita è la sua “
dura storia d’amore con un muro”.
Nella poetica della macchina del promettente artista friulano, che ama citare le battute di
A-Team e lavorare con gli attrezzi del ferramenta, il dubbio esistenziale è un sistema meccanico che va in blocco e il
Crash (2009) delle automobili giocattolo è la drastica azione fisica che dona agli oggetti coniati su scala industriale la dignità d’un prodotto artigianale.
Beato il fallimento – messo in scena con l’ironia del disincanto nella luminosa Galleria SpazioA di Pistoia – come parte integrante del ritmo della vita:
Overdrive, titolo della personale, altro non è che un sistema di trasmissione per il cambio che, inserito, dà al mezzo un’andatura costante, da autostrada. Come quella di
Speedline (2009), nella quale la moto, il cui guidatore gravita serafico nel vuoto, corre lungo una retta che, oltre la cornice, si proietta nell’infinito. Lo spaccato idilliaco del movimento perpetuo, che domina su tutta la parete in fondo alla galleria, s’interrompe a qualche metro di distanza, dove, fissi sul pavimento, si stoppano i due grandi copertoni di
Prana (2008), imbrigliati nel loro scatto.
All’ingresso irrompe l’ironica installazione
Volevo essere delicato (2008), nell’ottica di annunciare il rivolgimento d’intenti dell’artista: perché il grande ingranaggio congegnato da Bazzana sembra uguale alla struttura già esposta, ma non lo è. Ora il piumino azionato dal grottesco circuito, al cui moto di energia concorrono un trapano e un faro alogeno, spolvera nel vuoto, senza più alcun lampadario di cui prendersi cura. Un meccanismo costruttivo votato all’inutilità.
“
Prima la mia attenzione era concentrata sulla funzione: per manifestarla, cercavo di completare i miei macchinari coinvolgendo il pubblico”, spiega Bazzana. E il pensiero corre al dissacrante veicolo ingolfato di
Finché c’è benzina c’è speranza (2008), secondo posto al Premio per la performance della Galleria Civica di Trento, attorniato da spettatori illusi che attendevano invano il compiersi di un evento. “
Qui il focus è la macchina stessa”, precisa il giovane artista, “
svelata nei dettagli che ne sottintendono la fase di progettazione”. Del resto, terreno privilegiato della sua ricerca espressiva è sempre stato il cantiere: “
Adoro la produzione, mi lascio trasportare dai materiali, ci gioco”, ammette Bazzana.
Il finale, apparentemente non-sense, è in realtà sinonimo della serena accettazione di una realtà imperfetta, la cui dinamica razionale include di
default vittorie e sconfitte, piani mandati in fumo dal caso, ma anche no.