Impossibile muoversi. Almeno se si crede di arrivare da qualche parte o di attraversare luoghi certi, vivibili e conoscibili. In occasione della sua prima personale italiana,
Isabel Banal (Castellfollit de la Roca, 1963; vive a Barcellona) ha disseminato il pavimento con piccole figure umane, sculture bianche di gesso alte una decina di centimetri. Figure in transito, stando alla presenza di zaini, pacchi, scatole e valigie, nonché al modo in cui sono disposte, ossia sfilacciate in lunghe teorie che prendono avvio da cinque diversi punti sui lati della stanza o momentaneamente radunate in grumi casuali. Pronte a confluire in un centro che si nega, che non riesce a costituirsi come traguardo, come elemento generatore di senso.
L’idea di movimento finalizzato è negata dalla presenza di altre figure che si muovono controcorrente rispetto alla maggioranza, verso gli apparenti punti di partenza. Come se, una volta arrivati, non restasse altro che ripartire, in un andirivieni che rivela l’inutilità del movimento stesso. A ciò s’aggiunge il fatto che, pur essendo molte, le figure di Banal ripetono nove forme-base. L’enorme varietà si riduce a copia, replica, indizio della banalità del viaggio sistematicamente ripetuto, si tratti di quello drammatico della migrazione o di quello grottesco del turismo. A entrambi siamo ormai assuefatti.
Poiché, oltre a un movimento, il viaggio presuppone anche un luogo, allora in tre degli spazi lasciati vuoti dalla figure umane (oppure causa del loro scansarsi?) si pongono altrettanti agglomerati di elementi. Una tela, che rappresenta in maniera tradizionale un paesaggio di montagna -le opere sono del padre dell’artista-, è di volta in volta issata sopra uno scaleo o incastrata tra le gambe di un secondo più piccolo, o ancora appoggiata a una parete, dietro una scala orizzontale che funge da grata. Come nota il curatore, Saretto Cincinelli, quello che potrebbe esser identificato come il
paesaggio delle figure, il contesto del loro agire, nega anch’esso la propria funzione, nel momento stesso in cui la suggerisce. Infatti, le scale e gli scalei, totalmente fuori misura rispetto alle figure, da strumenti diventano ostacoli che imprigionano le tele, rendendole inagibili, irraggiungibili. Ricacciando l’
ascensione tra le “cose” che si possono soltanto immaginare.