Categorie: toscana

fino al 24.XII.2009 | Julian Rosefeldt / Ian Tweedy | Firenze, Ex3

di - 17 Novembre 2009
Ancora si sente l’odore dell’intonaco sulle pareti, altri
interventi di sistemazione dovranno esser conclusi. Ma non importa. Più del
disagio per le mancanze – comunque giustificate dai tempi di lavorazione,
oltremodo ristretti – sono entusiasmo ed eccitazione ad accendere i volti dei
protagonisti.
Del resto, questa nuova inaugurazione dell’Ex3 vuol essere
anche un invito a cessare ogni polemica e antagonismo, per riuscire finalmente
a instaurare una relazione duratura e stimolante fra il centro-laboratorio e la
sua città.
Arabella Natalini e Lorenzo Giusti, collaboratori di
Sergio Tossi alla direzione artistica, hanno selezionato per la prima
esposizione gli artisti Julian Rosefeldt e Ian Tweedy. Rappresentanti di
generazioni distinte, quindi a un livello di maturità creativa differente, hanno
tuttavia vari punti di accordo: la coincidenza biografica dell’aver vissuto un
periodo piuttosto lungo in Italia – fattore che inoltre vanifica un’eventuale
accusa di esterofilia ai curatori – e almeno altri tre elementi fondamentali,
ossia il rapporto col passato, la riflessione sulla contemporaneità e
l’impostazione decostruzionista.
Julian Rosefeldt (Monaco, 1965; vive a Berlino) è autore di una sintesi
singolare ed eccellente fra cinematografo e videoarte. Ricorrendo a narrazione,
ambiguità e paradossi, riesce a spingere le strutture filmiche fino al punto
critico che ne svela l’assoluta artificiosità. Operazione che per sineddoche va
coinvolgendo le dinamiche più generali dell’esistenza umana: si tratti
dell’episodio Stunned Man della Trilogy of Failure – in cui due cinecamere
speculari inseguono un duplice individuo, ego e alter ego, per invertirsi nel
finale e generare un loop virtualmente infinito – oppure del viaggio Lonely
Planet
,
smascheramento ironico dei cliché del viaggiatore occidentale, sempre si
riscontra un fermo convincimento sull’arbitrarietà del senso.

Talvolta la logica e i significati sottesi all’esistere
giungono da epoche lontane; è il caso di American Night, installazione distribuita su
cinque schermi che sperimenta, e insieme destruttura, la mitologia western. Si
prendano un improbabile cowboy nero, un dialogo fra i pupazzi di Obama e Bush,
attori che citano le frasi simbolo del genere, marines in diacronica irruzione
nel centro di un paesino del far west. Bastano lievi forzature perché i simboli
originari americani della conquista e della fondazione del territorio si
rivelino per quanto sono davvero: prova incontrovertibile delll’autoreferenzialità
della storia e dei suoi valori.
Anche Ian Tweedy (Hahn, 1982; vive a Milano) ricorre all’immaginario
storico, per esempio con figurazioni dei celebri aerostati Zeppelin, ma le sue
finalità sono diverse. Nel giovane c’è la volontà di scovare la trama
sotterranea che unisce l’individualità alla memoria collettiva.

Ne è esempio evidente il site specific The Departed in
Dazzle.
L’ipotesi
relazionale tra elementi distanti – quali il proprio disegnare, l’emblema del
soldato in partenza per la guerra, il motivo a linee diagonali caro al
vorticismo – diventa tentativo di ri-attualizzare il già accaduto e il già
compreso nell’ambito del presente personale.


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dal 29 settembre al 24 dicembre 2009
Julian Rosefeldt – American
Night

Ian Tweedy – 70 Zeppelins

a cura di Lorenzo Giusti e
Arabella Natalini

Ex3 – Centro per
l’Arte Contemporanea

Viale Giannotti 81 – 50126 Firenze
Orario: da mercoledì a sabato ore 11-19; domenica ore 10-18

Catalogo disponibile

Info: tel. +39 0550114971; info@ex3.it; www.ex3.it

[exibart]

Visualizza commenti

  • Nel lavoro di Ian vedo un eccessivo compiacimento su un passato collettivo di cui andrebbe sviluppato il "negativo" (in sesno fotografico). Mi sembra un laccio ruffiano legato ad un 900 ormai strabollito. Queste immagini devono funzionare da archivio, da background per arrivare altrove. Se devintano il centro, si rischia la masturbazione. Sintomatica la nascita di Ian a inizio anni 80 (lasciamo stare le postille esotiche del ragazzo americano nato in una base usa in europa) e il contesto di "precarietà" in cui viene presentata la mostra. Forse poteva essere interessante mixare i lavori di ian con le documentazioni che testimoniano la precarietà del centro che ospita la mostra. Avrei voluto vedere i palloni aereostatici su quei documenti.

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