Un colpo di spalla alla cultura e alla doppia crisi – ideologica e di mercato – dell’Occidente civilizzato, Adrian Paci l’aveva già data circa un anno fa. Quando insieme al connazionale Sislej Xhafa, negli spazi della Fondazione Lanfranco Baldi di Pelago (sui colli fiorentini), era riuscito a scuotere le nostre
La storia in questione è quella di un pittore conosciuto in patria. Un pittore, come il padre di Adrian. Morto quando lui aveva appena 6 anni. Dell’infanzia, Paci ricorda le frequentazioni negli studi di artisti. Compreso quello di suo padre, dove trascorreva buona parte del tempo consultando libri e documenti d’archivio. Stavolta però il contesto cambia, e la condizione sociale pure. Il pittore che ha ispirato l’installazione, molto noto in Albania, per sbarcare il lunario oltre a dipingere produce documenti, diplomi e certificati falsi. Ed è proprio su questa ambigua oscillazione tra lecito e illecito, tra vero e non vero, che si sviluppa la ricerca d’identità di Adrian Paci. Che addirittura mette in dubbio la propria esistenza esponendo nel chiostro un suo certificato di morte, appositamente confezionato dal pittore-attore. “E’ dottore chi si vanta di una laurea falsificata? E’ un artista colui che vende la propria manualità? E chi decide cosa è arte e cosa no?”, si domanda l’artista-falsificatore girando le spalle alla videocamera di Paci. Che a sua volta si gira di fronte al suo pubblico e propone i suoi lavori. Ma poi domanda: “Chi e perché deciderà se sono arte? Chi e perché, addirittura, deciderà se io esisto o no?”. Le risposte sono da ricercare nella sua condizione di immigrato. Anche se oggi Adrian Paci vive e lavora a Milano parlando un perfetto italiano, non ha dimenticato gli anni vissuti in Albania; non ha dimenticato la distruzione, la fuga, le successive difficoltà d’inserimento. Insomma, il suo lavoro è fortemente autobiografico. Paci coinvolge infatti nelle sue installazioni cose e persone a lui molto vicine. Anche se questo, a volte, è stato causa di problemi. Come la foto ai figli, ripresi di spalle con il timbro del passaporto disegnato sulla schiena. Uno scatto che gli è costato un lungo interrogatorio e una perquisizione da parte della
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Gianluca Testa
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