Il senso è quello di una processione laica. Oltre duecento persone transitano presso le stazioni previste dal corteo, salendo e scendendo dagli autobus. Le icone esposte –ma più spesso nascoste, da cercare tra gli ingranaggi delle fabbriche del tessuto e altrove- sono le immagini fotografiche di sedici artisti.
In questi casi, quando l’arte contemporanea si esprime come diffusione sul territorio, il bilancio della manifestazione può fare a meno di contare il numero dei visitatori o il successo sulla stampa. Il valore è tutto nell’accadimento, si potrebbe dire performativo, che definisce una rete di connessioni ipotetiche; anche se non da subito, la traccia rimane.
Spread in Prato, giunto alla quarta edizione, porta ancora una volta l’arte nel tessuto della città, quello del centro e quello periferico, industrializzato e storicizzato, dal punto di vista antropologico, quanto il primo.
Ci sono le industrie tessili, quelle antiche, quelle all’avanguardia o quelle ipercinesizzate, gli esercizi commerciali, le abitazioni dei collezionisti e i ristoranti orientali. Ci sono artisti italiani, da Armin Linke a Sissi, e fotografi stranieri, da Lorca diCorcia a Isaac Julien, tutti convocati da Pier Luigi Tazzi. E c’è il pubblico, composto dagli artisti, dai critici, dal solito popolo delle gallerie e degli eventi. È lui, il pubblico che si muove fuori e dentro i confini della città, a creare realisticamente la rete tra i poli emersi nella geografia urbana di Prato.
La prospettiva che unisce i diversi lavori è il tema del corpo, nelle sue connotazioni legate all’identità individuale e sociale, il corpo come segno estremo in cui si verifica la mutazione culturale.
Le narrazioni si intrecciano scrivendo capitoli la cui successione va letta nelle diverse tappe. La storia del fratello di Rona Yefman, che piano piano diventa una sorella, parte dalla Viscotex e continua a casa dei collezionisti Fornello, uptown, decrivendo il percorso di una mutazione di genere; il racconto in punta di obiettivo dell’israeliano Gil Marco Shani, invece, si apre e si chiude nell’antibagno del Lanificio Fedora, in un tempietto dell’ornitologia latu sensu; Nakahira Takuma, scandalo dei mercanti d’arte, affigge con le puntine le sue opere sulle pareti del Lanificio Zanieri, mentre Sissi verifica le possibilità optical delle scene da spiaggia.
E poi altri luoghi, più o meni sorprendenti, e altri artisti (si ricordano tra i nostrani Donatella di Cicco, Michelangelo Consani, Carmelo Nicosia e la nippo-partenopea Rosa Rossa, ), attori, protagonisti ma non troppo, di inedite relazioni tra le strutture che li ospitano e lo sguardo peregrino di chi vi passerà nel prossimo mese.
Una mostra parallela, Souvenirs d’un pays lointain espone una serie di foto-cartolina che mettono in evidenza il valore comunicativo di questo oggetto/icona.
Nel corso della manifestazione sono previste le proizioni di film di Mark Lewis, Pascale Marthine Tayou, Yang Fu Dong, Zhang Peili, Surasi Kusulwong e Bethan Huws. i video saranno proiettati in luoghi deputati allo spettacolo (dal Metastasio all’auditorium del Pecci), ultima acqusizione della rete di Spread in Prato.
pietro gaglianò
mostra vista il 16 ottobre 2004
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