Alla domanda “what
is art?”,
William Burroughs rispose: “Art is a word of three letters”. Arte come concetto talmente
indefinibile da esser costretti a dire che la sua canonica trascrizione è
semplicemente un misero insieme di lettere, incapace di contenere la vastità
del contenuto.
La collettiva pressoché omonima,
invece, tende a raccogliere una serie di esempi dove la parola scritta
sostituisce il segno grafico/pittorico. Torniamo in piena arte concettuale, ma
la riflessione che la distesa di “manifesti” esposti fa saltar in mente desta
comunque curiosità. Concepiti come epitaffi per la morte dell’arte, una volta
realizzati divennero
claim. Slogan che, differentemente dal promuovere un prodotto,
pubblicizzavano l’idea dell’arte: non un’idea per vendere oggetti, ma un’idea
per vendere l’Idea non circoscrivibile in alcun oggetto. Lo squisito paradosso
risiede nel fatto che i claim stessi divenivano poi gli oggetti da vendere.
A questo proposito sono
interessanti le parole di
Maurizio Nannucci:
Collectors are welcome. L’opera porta a riflettere sulla
sua natura commerciale: nel qual caso fosse acquistata, raggiungendo una
collezione, che senso avrà l’invito contenuto?
Ben Vautier, altrove, tratta la questione
arte-parola in senso nostalgico. L’affermazione
Je crois que pour changer
l’art il va failloir dire la vérité si riferisce esplicitamente a un’epoca nella quale il
concetto di bellezza espresso dalla creazione artistica rispecchiava la verità
in senso morale del termine. Leggendo oggi tali parole, non sappiamo se pensare
ai reality show o a Roberto Saviano.
Sull’attesa di un appagamento da
parte del pubblico, è degna di nota l’opera di
Gianni Pettena.
Applausi (1968) consiste in una valigia
che, una volta aperta, contiene in entrambe le sue metà la medesima scritta
riportata dal titolo. All’interno della galleria,
Applausi pone l’accento sull’aspetto
condiviso da tutti i lavori in mostra: la totale assenza di volontà nel
coinvolgere il fruitore in una partecipazione con l’opera, rendendo impossibile
non solo l’esaltazione emotiva, ma anche la sua espressione in applausi.
L’opera di Pettena instaura quasi
un dialogo naturale con quella di
Bruce Nauman, poiché se l’arte di oggi è imprescindibile dalle
dinamiche della società dello spettacolo, definire
Normal desires (1973) le aspettative del
pubblico mai sazio di spettacolarità pare del tutto normale. Altrove, con
Giuseppe
Chiari si
registra l’ennesimo epitaffio relativo alla morte dell’arte:
L’arte è
finita. Smettiamo tutti insieme (1974). Anche qui, ignorando tutto ciò che sappiamo, pare
quasi un invito a disintossicarci, più che dalla pratica, dall’uso della parola
‘arte’, oggi così abusata da divenire una sorta di neologismo.
La rassegna si può definire del
tutto esaustiva, tanto da arrivare a stravolgere l’iniziale dichiarazione di
Burroughs: l’arte è una parola che contiene tutte le lettere dell’alfabeto.