Spazio21 è il luogo della performance, una volumetria neutra ed essenziale sottratta al vecchio lanificio e all’aggressione dei brand commerciali.
Anche in questa sua prima personale italiana,
Yael Davids (Gerusalemme, 1968; vive ad Amsterdam) propone una sofferta sintassi silente. Il corpo viene scomposto, gli arti sostituiscono la voce e diventano oggetti nello spazio, segnano quasi le misure di un’architettura dell’ambiente. In
Face, coreografia elementare di un primo piano, era la torsione lenta e meccanica della scatola cranica a declinare l’interazione muta con lo spazio. In
Music Box, le sezioni del corpo di una ballerina classica, sospesa nel gesto bloccato da una musica silenziosa di un piano senza vibrazioni.
A Prato le protagoniste sono, contro la loro natura, labbra incastrate in enormi pannelli. Le parti anatomicamente deputate al linguaggio, l’espressione verbale che l’artista preferisce rimuovere, sono impedite nella loro funzione da quattro grandi pannelli mossi da undici performer. Così, uno dei protagonisti dell’evento è proprio il muro, attorno a cui i visitatori si muovono liberamente e che, nella interpretazione della performer israeliana, diventa maschera. Argomento di dibattito attorno al teatro che lascia il segno in questa circostanza, affondando con vigore nei temi che
Jerzy Grotowski tratta in
Toward a Poor Theatre. Il muro trasformato in maschera: linea di confine fra oggetto e soggetto, frontiera liberamente transitabile per gli spettatori.
Le labbra separate e immobilizzate, Davids gioca con l’ambiguità delle parti del corpo estraniate dal restante, separate o rese non visibili dalla materia artificiale. Ma il sentimento non è ludico, il corpo è trattato come un contenitore, una scialuppa che contiene e rende mobile l’essere. Il senso della tensione e della sofferenza è nei movimenti calibrati e faticosi dei performer, lascia una traccia umana sulla parte interna dei pannelli, dove non si fa fatica a identificare le tracce dello sforzo. Il segno di quanto possa essere doloroso andare oltre l’espressione verbale, cercare una forma parallela e silenziosa di dialogo con gli altri, con lo spazio, con il moto.
Corollario alla performance,
Learning to Talk, un collage di lettere che formano due fogli, uno esplicito nei suoi segni ortografici e nella sua sintassi, e l’altro che è il suo esatto negativo. Davids propone così la sua interpretazione, il percorso investigativo da cui si muove e che svela la sua formazione letteraria, il costante richiamo al mezzo teatrale. A noi, dopo la coreografia, lascia la libertà di ulteriori decodificazioni, attraverso le foto della performance, i suoi disegni con le altre possibili utilizzazioni dei pannelli, e l’opportunità di scrutare questi da vicino, di scoprire le maniglie costruite con materiali poveri, riciclaggio artistico di packaging alimentare.
E, infine, i video delle altre installazioni e performance in giro per l’Europa, in questi giorni alla Laura Bartlett Gallery, che riannodano il filo di un percorso logico e artistico.