Dimitris Mytaras nasce nel 1934 a Calcide, in Grecia, e studia alla Scuola delle Belle Arti di Atene per poi continuare presso l’Ecole Nazionale des Arts Decoratifs et Métiers d’Arts di Parigi, dove si impegna anche in lavori scenografici.
Inizia ad esporre ad Atene e, a partire dagli anni ’70, nelle grandi capitali del mondo, prendendo parte anche a importanti manifestazioni come la Biennale di Venezia. Oggi le sue opere sono esposte in alcune delle più importanti collezioni greche: il Museum of Contemporary Art di Florina, la Cangelaris Collection of Contemporary Greek Painting, e il Municipal Art Gallery of Rhodes.
L’artista greco Dimitris Mytaras espose per la prima volta a Firenze nel 1972. Torna quest’anno a Palazzo Vecchio, nella Sala d’Arme, esponendo 20 opere che vanno dagli anni ’70 fino ad oggi.
Come sottolinea Enrico Crispolti, curatore del catalogo, Mytaras negli anni ’70 faceva parte di un gruppo di giovani artisti greci che tornavano a guardare il mondo con nuovi occhi, come avevano fatto gli artisti pop. Una critica sociale dunque, dalla quale, però, Mytaras si distaccò per ritornare al passato denso ricordi e memorie del suo antico Paese. Ecco così il riproporsi di elementi architettonici classicheggianti che incorniciano le figure, quasi a ricordare loro di appartenere ad una Storia che mai le abbandonerà. Anche oggi la figura domina i dipinti del maestro che intende raccontare il mondo che lo circonda, quasi come per prenderne coscienza. Nella sua pittura Mytaras esterna le paure come le passioni, le angosce ma anche le gioie.
Il timore per l’universo tecnologico, quello della velocità e delle macchine, si esprime in un quadro come Scrapyard (Cantiere di demolizione) (1994): un aggrovigliarsi di lamiere che sembra rappresentare la contrizione dell’animo umano. Ma ecco la figura femminile che riporta l’armonia in un mondo dove tutto è disastro e solitudine. Una donna che, come nel dipinto Woman and dog (La donna e il cane) (1994), sovrasta un cane, quasi calpestandolo, come a dire che mai niente di animalesco e di bestiale potrà contaminare la sua bellezza.
In tutti i lavori di Mytaras domina il colore, tanto forte da “violentare” e catturare l’occhio dello spettatore per metterlo di fronte a una realtà che non può che essere dura e crudele. Il rosso, simbolo dell’amore passionale; il giallo come l’ossessiva gelosia; l’azzurro; ma anche il grigio che fa da sfondo alle sciagure della vita. Dunque i colori come metafora della vita intera della quale bisogna accettare tutto: anche la sua atrocità. Mytaras ci è riuscito grazie alla grande consolazione dell’uomo che è l’Arte.
Accompagnano la mostra le musiche composte dal figlio dell’artista, Aristeidis, ispiratosi alle opere del maestro. Alla personale di Mytaras è abbinata l’esposizione dei lavori dei ragazzi del Laboratorio d’arte di Calcide, allestita nell’attiguo cortile della Dogana a cura di Charicleia Mytarà, moglie dell’artista
Elena Parenti
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