L’occasione contingente è il cinquantenario della fondazione dell’Istituto Olandese di Storia dell’Arte a Firenze ma, con un limitato numero di opere di grande qualità, la mostra riesce a ricreare un mondo di idee, persone, commerci e cultura, attraverso un percorso cronologico e tematico ricco di suggestioni.
Si parte con opere che i documenti descrivono in Palazzo Medici, come il
San Gerolamo nello studio di
Jan Van Eyck o la ricostruzione della cappella della villa di Careggi, con il
Compianto di Cristo di
Rogier van der Weyden, che fonde suggestioni di
Beato Angelico con la sua esattezza nordica, accostato a una terracotta del
Verrocchio, compatibili in quanto espressione di un profondo bisogno di vitalità, comune a entrambe le culture.
Ma le ville medicee, e in generale le dimore patrizie, erano adorne anche di panni fiandreschi, ovvero dipinti a tempera su stoffa di grande resa che non hanno resistito al tempo,
per cui oggi possiamo solo ricostruirne alcuni temi attraverso la grafica, in cui elementi osceni, satirici o grotteschi, come la
Donna delle salsicce, che offrivano al pubblico l’opportunità di gustare soggetti “volgari”, non praticati da artisti fiorentini.
Un ruolo importante in questa rete di scambi lo giocano i ritratti che politici e mercanti commissionavano in occasione dei viaggi a maestri fiamminghi, apprezzandone la resa esatta e lenticolare, e che saranno gravidi di conseguenze per la ritrattistica italiana della seconda metà del secolo, come mostrano gli esempi di
Ghirlandaio e
Perugino, coi loro ritratti di tre quarti, le mani delle figure ritratte sul bordo o a stringere la cornice, contro sfondi di paesaggio tipicamente alla nordica, che arriveranno a permeare i
Ritratti Doni di
Raffaello e la
Monna Lisa di
Leonardo.
Analogamente nei paesaggi, grazie anche alla padronanza della tecnica a olio, si perfeziona la resa dei dati atmosferici e gli sfondi si arricchiscono di dettagli con strade, figure, casupole e torrette, ripresi e adattati al paesaggio toscano, come negli sfondi di
Filippo Lippi e del
Pollaiolo, ma di chiara ispirazione fiamminga.
Fulcro della mostra e carichi di suggestione sono i dipinti a soggetti sacro, dalla
Passione di
Memling a piccoli dittici devoti, a immagini del
Cristo dolente che sembravano ai contemporanei più sinceri, nel senso di un’espressività e di un patetismo esasperati e per questo sentiti più autentici, e apprezzati anche da Savonarola, come mostrano le derivazioni -o vere e proprie copie- realizzate a Firenze. Su tutti trionfano i grandi trittici di Memling e del
Maestro della leggenda di Sant’Orsola, dipinti per i colti e potenti Pagagnotti, che si possono intendere anche come una svolta di gusto.
All’alba del Cinquecento, la diffusione delle stampe permette una circolazione più rapida di idee e modelli, e tuttavia la cultura dominante, con
Vasari e
Michelangelo, parlerà di un’arte “
senza sostanza e senza nerbo” riferendosi ai fiamminghi, mentre la
Madonna con Bambino di Michelangelo scolpita per la Chiesa di Nostra Signora raggiungeva Bruges e apriva all’egemonia culturale italiana nell’Europa del tempo. Egemonia che ha però radici molto più lontane e complesse, a cui certamente non furono estranei i fiamminghi.