La dominante artistica di
Giovanni Ozzola (Firenze, 1982), al punto attuale
del suo percorso, è quella di aver instaurato una relazione, tanto stretta da
giungere alle soglie dell’identificazione, fra l’atto estetico e la dinamica
del diaframma cine-fotografico. Ne è emblema la modalità di videoregistrazione
utilizzata dal giovane artista per catturare, e dunque rendere visibili, quei
frammenti del reale che ritiene particolarmente poetici: apertura fissa
dell’otturatore in paziente attesa di un ciclo solare diurno, cioè da un valore
minimo che è il buio a uno massimo che è la sovraesposizione.
Non si tratta di edonismo tecnico; l’approssimarsi
dell’occhio umano al meccanico è semmai lo strumento idoneo a convogliare ogni
aspetto dell’indagine autoriale, e della conseguente fruizione, sull’elemento
ritenuto primario: la luce.
Considerando tale presupposto, meglio si comprende perché
i curatori, per questa esposizione che chiude il ciclo Bardini Contemporanea,
abbiano invitato l’artista a una passeggiata notturna nel parco della villa, e
quindi titolato l’esperienza
Recontres lors d’une promenade nocturne. Camminare al chiaro lunare tra i
corsi di un giardino colmo di natura e storia significa aprirsi a un’esperienza
percettiva inusuale; quando la visibilità incompleta causa un avanzamento
dell’immaginazione sul raziocinio, accade che i luoghi trasfigurino in scenari
e le forme in presenze evocative.
La risultante espressa da Ozzola, del tutto a suo agio
entro la differente situazione luministica, ha consistito di quattro opere
distinte: due ingrandimenti fotografici di un cielo in plenilunio e di un
albero di Giuda, un’accelerazione video di una fase temporale alba-tramonto e,
all’esterno, in una piccola grotta di reminiscenza manierista, una doppia
scritta al neon
sentirsi/stimmung.
Il dialogo “ideale” tra le immagini proposte approfondisce
e meglio determina la tematica centrale. S’intuisce che per l’artista la luce,
in ogni istante e in ogni situazione, è sostanza del creato universale: persino
l’oscurità non è da intendersi assenza, ma conformazione diversa – cioè più
silenziosa e poetica – della stessa. E se la notte coincide allo stato d’animo
che provoca, appunto, allo
Stimmung – condizione d’eccitazione romantica – allora il restare
nel buio in stato di veglia, cercando di rubare alla natura qualcuno dei suoi
segreti, diviene invito al recupero della totalità dell’esistenza: la ragione
dell’uomo non può escludere il non razionale dell’interiorità.
In linea a ciò la mostra richiede, ed è insieme il suo
punto di forza e il suo limite, d’intraprendere la
promenade senza sapere niente di quanto si
vedrà. Per un apprezzamento delle opere nella loro qualità di teofanie paniche,
e per allontanare un senso possibile di
déjà-vu, è necessario esperire come una
scoperta i passaggi dal buio alla luce, attendere che le pupille si abituino
alle differenze, sospettare all’uscita nel giardino di essersi persi.
Solo in questo modo potrà realizzarsi, davvero, la
sensazione di un “notturno” dentro le ore che appartengono al giorno.