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11
giugno 2010
fino al 27.VI.2010 State of mind Lucca, Lu.c.c.a
toscana
Una fucina inesauribile di idee anima lo spirito del Lu.c.c.a. Un anno di attività appena e un susseguirsi di mostre ed eventi collaterali che fanno ben sperare. Non manca proprio nulla...
Il direttore Maurizio Vanni del Lu.c.c.a.
ha descritto il museo come “una macchina di media grandezza e cilindrata, ma
con tanti cavalli nel motore”. Così è stato e il palazzo “alla Fratta” oggi è
riconosciuto e visitato da un vasto pubblico.
La mostra State of mind si snoda ai piani superiore del
Palazzo, all’interno di quel processo che ridusse “l’opera alle pure componenti strutturali, in
una visione primaria”
del fare arte, cioè la Minimal Art.
Rappresentata da otto artisti – da
Lies Kraal del 1934 a Christiane Löhr del 1965 – l’esposizione di trent’anni
d’arte ha un denominatore comune: l’essenziale, la forma geometrica basilare e
l’uso di materiali sia industriali che naturali.
La monocromia e il quadrato
imperano nelle opere di Lies Kraal: acrilici su legno, acrilici e cera su tela, acrilici e
pasta per modellare, tutte sostanze usate per far trasparire, sotto
l’uniformità del colore, la scansione quadrata ripetuta modularmente sull’estensione
dell’opera. In Untitled (1996) la regolarità è ancora più raffinata e un leggero scarto di
colore sembra dividere la tela orizzontalmente in due parti.
Ancora monocromia in Timothy
Litzmann, ma con
una tecnica più complessa. Il colore è distribuito su un supporto trasparente,
sabbiato sul lato opposto, tale da creare una visione semi-opaca dell’opera.
La tridimensionalità rappresenta
l’essenza delle strutture di Lawrence Carrol. L’artista australiano esprime il
disagio dell’individuo in una società emarginante, dove il rifiuto diviene
un’enorme raccolta di nessi informativi. Le sue figure lignee, ricoperte da
tela impressa di cera e olio, occupano le sale come alieni spaesati. Fugitive (for Mark) e Paintings Do Sleep liberano, nelle lineari sale del
museo, un carattere fortemente dirompente come lo è il disagio individuale e
sociale che l’artista esprime. Il tono di colore è neutro ma esalta, con minime
variazioni cromatiche, la volumetria dell’installazione.
Esaltazione di coerenza naturale
nell’opera di Christiane Löhr: le piccole istallazioni di crine di cavallo o vegetali
essiccati colpiscono per la perfezione strutturale. Lo studio sintattico della
natura e la perfetta realizzazione propongono una lettura scevra da significati
che non siano i materiali e il procedimento compositivo.
La ricca collezione del conte
Panza è contornata da altre mostre che si susseguono con intensità temporale
veloce. Fotografia, videoarte, installazioni.
All’ingresso, tre grandi foto di Gianni
Caverni della
serie Germinazioni,
tra cui l’immagine di Andrea Marini, artista con cui condivide lo spazio. Bianco e nero
dominanti, ma intorno alle piccole piante che gli attori tengono in grembo si
sprigiona una vampata di calore/colore che le alimenta. Nella parte underground,
Cristina Finucci espone
Paradigmi: una
sorta di griglia tridimensionale che scandisce lo spazio espositivo e sollecita
l’ottica del visitatore alla visione di nuovi modelli e antichi archetipi.
ha descritto il museo come “una macchina di media grandezza e cilindrata, ma
con tanti cavalli nel motore”. Così è stato e il palazzo “alla Fratta” oggi è
riconosciuto e visitato da un vasto pubblico.
La mostra State of mind si snoda ai piani superiore del
Palazzo, all’interno di quel processo che ridusse “l’opera alle pure componenti strutturali, in
una visione primaria”
del fare arte, cioè la Minimal Art.
Rappresentata da otto artisti – da
Lies Kraal del 1934 a Christiane Löhr del 1965 – l’esposizione di trent’anni
d’arte ha un denominatore comune: l’essenziale, la forma geometrica basilare e
l’uso di materiali sia industriali che naturali.
La monocromia e il quadrato
imperano nelle opere di Lies Kraal: acrilici su legno, acrilici e cera su tela, acrilici e
pasta per modellare, tutte sostanze usate per far trasparire, sotto
l’uniformità del colore, la scansione quadrata ripetuta modularmente sull’estensione
dell’opera. In Untitled (1996) la regolarità è ancora più raffinata e un leggero scarto di
colore sembra dividere la tela orizzontalmente in due parti.
Ancora monocromia in Timothy
Litzmann, ma con
una tecnica più complessa. Il colore è distribuito su un supporto trasparente,
sabbiato sul lato opposto, tale da creare una visione semi-opaca dell’opera.
La tridimensionalità rappresenta
l’essenza delle strutture di Lawrence Carrol. L’artista australiano esprime il
disagio dell’individuo in una società emarginante, dove il rifiuto diviene
un’enorme raccolta di nessi informativi. Le sue figure lignee, ricoperte da
tela impressa di cera e olio, occupano le sale come alieni spaesati. Fugitive (for Mark) e Paintings Do Sleep liberano, nelle lineari sale del
museo, un carattere fortemente dirompente come lo è il disagio individuale e
sociale che l’artista esprime. Il tono di colore è neutro ma esalta, con minime
variazioni cromatiche, la volumetria dell’installazione.
Esaltazione di coerenza naturale
nell’opera di Christiane Löhr: le piccole istallazioni di crine di cavallo o vegetali
essiccati colpiscono per la perfezione strutturale. Lo studio sintattico della
natura e la perfetta realizzazione propongono una lettura scevra da significati
che non siano i materiali e il procedimento compositivo.
La ricca collezione del conte
Panza è contornata da altre mostre che si susseguono con intensità temporale
veloce. Fotografia, videoarte, installazioni.
All’ingresso, tre grandi foto di Gianni
Caverni della
serie Germinazioni,
tra cui l’immagine di Andrea Marini, artista con cui condivide lo spazio. Bianco e nero
dominanti, ma intorno alle piccole piante che gli attori tengono in grembo si
sprigiona una vampata di calore/colore che le alimenta. Nella parte underground,
Cristina Finucci espone
Paradigmi: una
sorta di griglia tridimensionale che scandisce lo spazio espositivo e sollecita
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daniela cresti
mostra visitata il 10 aprile 2010
dal 10 aprile al 27 giugno 2010
State of Mind. Minimal Art. Panza
Collection
a cura di Maurizio Vanni
Lu.C.C.A. – Lucca Center of
Contemporary Art
Via della Fratta,
36 – 55100 Lucca
Orario: da
martedì a domenica ore 10-19
Ingresso:
intero € 7; ridotto € 5
Catalogo Carlo
Cambi
Info: tel. +39
0583571712; fax +39 0583950499; info@luccamuseum.com; www.luccamuseum.com
[exibart]
LA MOSTRA E’ MOLTO BELLA ED INTERESSANTE E CONSIGLIO A TUTTI IL LIBRO RICORDI DI UN COLLEZIONISTA DI GIUSEPPE PANZA
Nella nostra città è ormai un fiorire di ricerche nelle arti visuali, quasi che si stia assistendo ad un risveglio dell’interesse culturale in questo campo. Se in passato le mostre figurative sulle avanguardie erano appannaggio prima della Galleria Paul Klee, poi del Bureau de l’Art, oggi grazie alla Fondazione Ragghianti, alla Poleschi Arte, alla Galleria 38 e al museo Lu.C.C.A., la città conosce un autentico risveglio culturale. Altro evento d’eccezione al Lu.C.C.A. fruibile fino al 27 giugno, è ospitato nel Palazzo Boccella allo Stellario, State of mind ove è di scena la minimal art della collezione Panza. «Ciò che vedi è ciò che vedi», affermava Frank Stella nel 1958-59 quando con i suoi black paintings inaugurava, probabilmente senza esserne consapevole, una nuova incredibile e imprevedibile stagione dell’arte contemporanea: la minimal art. Alcuni anni dopo, la critica ufficiale riconobbe alla minimal art, che si contrapponeva in modo deciso all’espressionismo astratto degli anni ’40 e ’50 e alla coeva pop art, la peculiarità di aver modificato l’approccio alle espressioni artistiche, il ruolo dello spazio e del visitatore, ma anche ridisegnato le geografie dell’arte contemporanea: gli Usa infatti prendono per la prima volta le distanze dall’arte europea, New York diviene la capitale dell’arte e questo grazie anche alla pop art, a Fluxus e alla mail art che nel ’62 fu codificata da Ray Johnson. State of Mind è un evento che coinvolge otto artisti della Collezione Panza, Lawrence Carroll, Lies Kraal, Timothy Litzmann, Christiane Löhr, Emil Lukas, Jonathan Seliger, Séan Shanahan, Roy Thurston, «che si esprimono – sostiene il curatore della mostra Murizio Vanni – ognuno in modo proprio, attraverso il denominatore comune della minimal art con un dizionario formale essenziale, con tecniche non relazionali di composizione pittorica, con strutture costituite da grandi, anonimi ed essenziali volumi geometrici in sequenze seriali, con l’impiego di materiali industriali quali legno, cera, punti metallici, pasta per modellare, silicone, resina acrilica, lacca, acciaio inossidabile, poliuretano, vetro, aghi, o desunti dalla natura, denti di leone, semi di edera, semi di caglio, crine di cavallo, gambi d’erba, foglie.» Ne scaturiscono otto installazioni pensate con la volontà di coinvolgere il bianco e il vuoto dello spazio espositivo come componente attiva del loro lavoro realizzato tra gli anni novanta e il duemila. Alla riduzione minimale delle opere, nessuna parte, seppur nella sua essenza, assume più importanza di un’altra, si contrappone l’esperienza della presenza fisica degli oggetti con lo spazio in modo da determinare la conoscenza immediata delle forme e dei materiali. In questo tipo di evento, l’attenzione deve spostarsi dall’interno all’esterno del lavoro, evidenziando le caratteristiche reali della struttura, le qualità fisiche e spaziali dell’istallazione per esaltare un rapporto inedito con l’osservatore. Al visitatore, infatti, non viene più chiesto di concentrarsi sul significato intrinseco della creazione, ma di avere una sorta di approccio poli sensoriale con il lavoro, di testare senza alcun pregiudizio il dipinto monocromo o il volume con cui deve dividere lo spazio e di pensare solamente al processo soggettivo di fruizione.
Vittorio Baccelli