In occasione della sua prima personale, Federico Pacini, giovane fotografo senese, propone un saggio completo del suo lavoro. Trentasei opere di grande formato, di cui dieci a colori e ventisei in bianco e nero. Ritratti, nudi e fiori, ovvero soggetti classici della fotografia, che testimoniano come Pacini attinga a piene mani sia alla contemporaneità che ai grandi maestri del passato.
Anche se l’autoreferenzialità degli autoritratti, il continuo utilizzo di inquadrature oblique, la ricerca di tagli inediti e la riflessione sui contesti urbani testimoniano la vicinanza di Pacini al percorso artistico intrapreso da molti suoi coetanei, aspetti come il senso dell’equilibrio, la sensibilità nell’affrontare i soggetti, la ricerca quasi ossessiva della perfezione e l’uso delle luci lo avvicinano in maniera inconfutabile ai grandi maestri della fotografia, primo fra tutti a Robert Mapplethorpe.
Se l’affinità con il grande americano sia voluta o puramente casuale in Pacini non è dato saperlo, tuttavia il giovane fotografo riesce ad instillare in ogni sua immagine un accento personale, una nota particolare, una visione diversa.
Il nudo non è mai sfacciatamente erotico, ma soltanto un pretesto per giocare con le luci e le ombre, con le curve del corpo femminile, con le allusioni e i giochi ottici che una particolare posa può esaltare. Come nel caso del ritratto in cui la donna nuda sta seduta a terra con le braccia nascoste dietro la schiena e il viso reclinato all’indietro, quasi fosse una nike greca priva degli arti. Certe pose ricalcano appieno alcuni famosissimi lavori di Mapplethorpe, pur manifestando interessanti variati. Nel nudo femminile sdraiato, ad esempio, Pacini rispetto al fotografo americano aggiunge le calze nere ed il braccio piegato, creando così nuovi volumi nella composizione e nuovi giochi di ombre.
Molto interessante la serie di ritratti eseguita a personaggi del grande schermo, frutto dalla passione di Pacini per il cinema. La scelta dei soggetti non è mai casuale: l’artista ritrae
La particolarità di questi ritratti in bianco e nero sta tutta nella scelta dell’inquadratura, sempre leggermente spostata a destra o a sinistra. Difficilmente il soggetto risulta centrato, addirittura a volte la foto è scattata di sbieco. Lo spostamento dell’inquadratura è una caratteristica che troviamo anche nella serie dei fiori, realizzata a colori. Rose, calle, orchidee, gerbere e papaveri si offrono allo spettatore in tutto il loro concentrato di bellezza e fragilità. I petali sono spesso accarezzati da gocce d’acqua, oppure si presentano lisci e morbidi come il velluto. Il fotografo è capace di cogliere il senso dell’effimera bellezza dei fiori, riesce a fermare con lo scatto quell’istante di perfezione che spesso sfugge alla vista.
La fotografia è per Pacini uno strumento per fermare un attimo, catturare un momento, un’espressione, un sentimento, senza lasciar minimamente trasparire lo sforzo che c’è dietro a quest’operazione. Le immagini che raffigurano gocce d’acqua, ad esempio, dietro l’apparente facilità di esecuzione, celano il difficile tentativo di fermare qualcosa di estremamente fuggevole. Lo sgocciolamento, come il trascorrere del tempo.
sara paradisi
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