Il racconto di Luca Pignatelli ha inizio dalla tela su cui dipinge le sue opere. Non una tela qualsiasi, un supporto con un carico di vissuto e di storia propria e con una forte componente emozionale per l’artista. Stoffa grezza utilizzata per coprire carichi ferroviari con stampati numeri e simboli enigmatici. Polverosi e pieni di toppe. Da questo fantastico schermo escono treni a vapore, camion, aerei da guerra e fantomatiche navi. Le immagini di Pignatelli portano simboli e metafore di nostalgia, speranza di viaggi o di ritorni, distacchi e scoperte: immagini della memoria.
Si tratta di una pittura colta…capace di accendere l’emozione con una piega della tela, con una leggera sbordatura, una gestualità apparentemente violenta, con una sgocciolatura delicatamente casuale…, così un passaggio del testo in catalogo di Danilo Eccher.
Immagini precise, quasi fotografiche nella definizione dei particolari: rievocano la visione drammatica delle città Sironiane. Spazi vuoti, luci ed ombre che si articolano in apparente contrasto con l’accatastarsi di edifici delle sue New York. Linguaggio complesso e articolato che raccoglie molti riferimenti alla storia dell’arte da Boccioni a Carrà, da Burri a Rauschenberg. Ci ritroviamo dentro un’intera generazione che prima ha giocato con modellini di Spitfire e aerei della R.A.F, si è entusiasmata per Fellini ed ancora ha sognato ed amato la Milano nebbiosa di Luci a San
ITALIA, titolo della mostra, riporta la scritta stampata su uno dei teloni usati, ma esprime anche il desiderio dell’uomo di ribadire le proprie radici.
Luca Pignatelli si sente italiano e milanese e il profondo senso di appartenenza traspare nelle opere e nei riferimenti iconografici. Misurato l’uso del colore nelle grandi tele esposte, eppure la forte attrazione che esso esercita sull’artista emerge con impeto in squarci di paesaggio come nel giallo del cielo sopra l’Arco di Costantino, nel blu cobalto del veliero in Tempesta o nelle montagne di Treno e miniere. Spesso basta un segno, un tocco di argento sul dorso di una tigre, una scheggia selvaggia di colore, un piccolo spazio non dipinto perché un artista diventi protagonista del suo tempo.
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