Il corpo e la voce, la pittura e i disegni di
Enzo Cucchi (Morro D’Alba, 1949; vive a Roma) sembrano reliquie nelle due gallerie fiorentine; frammenti slegati che raccolgono il suono della sua voce, i movimenti sulla tela, l’espressività facciale. L’intervista, incisa su vinile e registrata per le vie del centro storico di Firenze, ci sottrae l’immagine di Cucchi, restituita invece dalle dirompenti inquadrature del documentario (
Anima nuda, 2007, di
Riccardo Buzzanca) che lo spia mentre lavora. L’operazione del curatore, Sergio Risaliti, è un sezionamento anatomico dell’artista attraverso vari mezzi (il video, la registrazione audio e le opere) che consente allo spettatore di ricostruirne autonomamente la personalità.
La pittura di Cucchi si colloca alla “fine della storia”, dove le forme sono libere di fluttuare negli spazi assenti, dove non ha luogo l’utopia né il sogno, dove la libertà del gioco prende il sopravvento. Il senso ultimo della sua arte è la separazione dei significanti dai significati, la creazione di una retorica degli oggetti, pescati acriticamente dalla realtà e dalla storia. L’assenza di un rapporto tra figure e sfondo non definisce la spazialità del reale come un tutto, ma come una somma di parti immerse in un infinito spazio bianco. Nella serie
Il vesuvio è il padre di tutte le nuvole del mondo (1994) compaiono piedi, cani, case, animali e teste di uomini senza soluzione di continuità, senza significati manifesti, per affabulare lo spettatore all’incanto della figurazione postmoderna.
Sta precisamente in quest’affabulazione il limite dell’arte di Cucchi. Se le avanguardie storiche erano destinate fatalmente a confrontarsi con spazi istituzionali e commerciali per criticarli dall’interno, come diceva Sanguineti, la Transavanguardia ha ribaltato questo paradigma: l’arte
sopravvive in funzione del rapporto con il mercato e con il museo. Nell’intervista che dà il titolo alla mostra,
Presente!, Cucchi è più interessato al rapporto tra immagine e testo che a organizzare un discorso logico o poetico: costruisce una presentazione grafica in cui proliferano segni che non significano. L’intervista è un’opera ridotta a oggetto (che ha un alto valore di scambio), non uno spazio di discussione critica (si parla di pugnette, apocalisse e scarpari).
E se “
ogni generazione ha il diritto di scrivere la storia di quella che la precede”, come voleva un maestro di metodo storico quale Marc Bloch, allora chi è nato negli anni (‘80) che sancivano la consacrazione di Cucchi e della Transavanguardia ritiene più attuali alcuni spazi dell’arte contemporanea (la riflessione sul video, la fotografia, il digitale) che cercano di forzare le dinamiche statiche del mercato, invece di sfruttarle.