Per la prima mostra d’arte pensata nell’azienda vinicola Icario è impossibile non spendere alcune parole sui suggestivi spazi voluti dai titolari e progettati dallo studio
Valle Progettazioni. “
Cercavamo un ambiente dove l’arte visiva potesse dialogare e confrontarsi con l’arte della produzione vincola”, raccontano i proprietari durante l’inaugurazione della nuova cantina.
E il dialogo certo non manca, quando a dividere le monumentali botti del piano inferiore dalla mostra, al piano rialzato, è un unico strato vetroso. Il tutto all’interno di un edificio in pietra e mattoni, posizionato su una collina in aperta campagna, a costituire un esempio di intelligente architettura compatibile con i suggestivi e poetici paesaggi del paesaggio toscano.
Bateau Ivre, sulla scia dell’opera omonima di Rimbaud che ne dà il titolo, punta il dito sulla compulsiva assunzione di stimoli visivi a cui è costretto l’uomo moderno. L’incessante e continua produzione d’immagini, oramai atte a riempire vuoti più che a inserirsi nello sviluppo di un progetto chiaro e narrativo, e quindi apparentemente slegate le une dalle altre -se non addirittura inconciliabili, talvolta-, congestiona e confonde il fruitore fino a ubriacarlo letteralmente, per porlo in una insobria stasi galleggiante.
Ma se tale disturbo visivo può inizialmente generare uno spaesamento, è proprio il disordine che diventa il soggetto principale dell’azione artistica.
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È il ‘rumore di fondo’ che è diventato protagonista, e che a prima vista rende tutto uguale in un’indistinta identificazione della scena, ma che invece, essendo diventato una categoria espressiva e una necessità linguistica e non più solo psicologica, sta tentando una riorganizzazione della visione del mondo su basi diverse da quelle della Modernità, che nell’odierno horror vacui avrebbe visto soltanto il trionfo del disordine e non della complessità”. Una storia nuova, diversa potremmo dire, che presuppone dunque un nuovo linguaggio; nuovo perché in un primo momento irriconoscibile, ma comunque un linguaggio, in quanto racconta una storia.
Nel caso specifico, sedici sono gli artisti invitati a costruire l’apparato sintattico di questo nuovo linguaggio. Artisti diversi sia per tecnica che per semantica, che si confrontano all’interno di un’unica storia. Ne è un bell’esempio la serie di sculture di
Pierluigi Calignano. Le sue ruote in legno, acciaio e luminarie rispolverano un immaginario comune di campagne e feste paesane per portarlo su un piano contemporaneo, dove a farla da padrone sono vertigine e percezione ipnotica di luci a intermittenza. Similmente,
Francesco Lauretta si avvale d’immagini tratte da scenari folkloristici per spostare l’attenzione non tanto sul motivo di un tale richiamo ma sulla folla in sé, intesa come nuovo soggetto. E se il primo si serve dell’accostamento di simboli diversi e comunemente riconosciuti, decontestualizzati nella ricerca di un nuovo senso, il secondo pone l’accento sulla ricerca di un nuovo soggetto, slegato dai legami semantici precedenti.
Ancora diverso e diversificante è il lavoro di
Antonio Riello, nel quale più di tutto trova spazio l’inconfessata ironia e la contraddizione insite nell’epoca che stiamo vivendo. La sintassi prodotta da Riello per un modello nuovo di linguaggio usa simbologie comuni e apparentemente slegate per denunciare ipocrisia e buonismo imperanti. Da questo, il missile esposto all’esterno della cantina, decorato con un cielo di
Tiepolo con santi pronti a benedire distruzioni imminenti oppure armi dai colori cangianti, ricchi di strass e pelli pregiate.