Che non fosse una cena come le altre lo si poteva intuire già da una lettura veloce del
Menu: antipasti a base di bugie rivelate o statistiche ambientali, racconti intimi e sirtaki improvvisati, un massaggio al collo piuttosto che una canzone di Pippo Franco e, per finire, doni singolari come vecchie audiocasette d’infanzia o portafortuna. Lo “chef” è
Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) che anche per questo suo nuovo lavoro si mette a confronto diretto con gli spettatori, con quel pubblico che ha sempre rivestito un ruolo importante in ogni suo esperimento artistico. Poiché ne è parte attiva e contribuisce a determinare l’esito del processo creativo seguendo l’artista-regista, privo di un preciso copione, quindi imprevedibile.
Lo schema azione-reazione, leitmotiv del lavoro di Pietroiusti, forse mutuato dai trascorsi di medico, è però immerso in un pragmatismo paradossale, degno di Jarry e della macchina patafisica. Proprio come il dottor Faustroll, l’artista sembra essere morbosamente affascinato e attratto da situazioni problematiche e tuttavia ordinarie, che diventano inesauribili fonti d’ispirazione.
Ne è un esempio la raccolta di
Pensieri non funzionali, idee prive di senso apparente, riorganizzate e postulate come vere e proprie istruzioni per i suoi progetti artistici. Ma questa scienza patafisica delle soluzioni immaginarie non resta mera formulazione teoretica, poiché per Pietroiusti rimane imprescindibile il rapporto col prossimo, il coinvolgimento nell’esperienza creativa, dal momento che l’arte è per lui innanzitutto comunicazione biunivoca, tesa a generare maturazione intellettuale attraverso lo scambio di informazioni. E che si crea e modifica in base alle specificità dei fruitori.
Eccolo allora calarsi nei panni di un cuoco e servire le sue particolari portate, in un ipotetico ristorante allestito all’interno della galleria, coinvolgendo i commensali in un divertente scambio di vivande e piatti fittizi. Con altrettanto simbolici metodi di pagamento, disegni o sculture da realizzare con le tovagliette di carta. Sotto la superficie della performance si cela un’analisi volta a palesare un meccanismo consumistico che ci è talmente familiare da divenire quasi automatico, per giungere infine a una riconsiderazione del concetto comune di scambio, dove per ogni prodotto di consumo esiste un corrispettivo in denaro.
Tutto questo utilizzando il paragone con il cibo, che diventa il simbolo per eccellenza della nostra società. Soprattutto attraverso questa nuova formula, dove il binomio domanda-offerta risulta connesso a un pagamento che richiede maggior consapevolezza, poiché necessita di uno sforzo attivo, creativo e mentale da parte dei consumatori. Solo in un secondo tempo, questi ultimi torneranno ad assumere il ruolo che gli è proprio, quello passivo di spettatori. In questo caso lo faranno tuttavia in modo più consapevole, poiché ciò che rimarrà di questo pasto conoscitivo e che sarà visibile in galleria saranno proprio le loro creazioni di carta. I doni effimeri utilizzati per sdebitarsi del lauto banchetto proposto dall’artista.