I contenitori siamo noi: contenitori di sogni, di ricordi, di passioni e crudeltà, di un passato che è la nostra vita, di un futuro che speriamo lo sia. Coacervo di sensazioni e immagini spesso inesprimibili perché contorte e scomposte. Questi chiusi contenitori oscuri e impenetrabili per gli altri divengono trasparenti nel lavoro di Stefania Balestri che, con coraggio mostra anche le più piccole pieghe della sua intimità. Trasparenti ma sigillati perché continuino ad appartenerle, a non essere violati, anche se si presentano a sguardi estranei.
Nell’installazione di Stefania Balestri alcuni elementi ricorrono quasi ossessivamente: il cibo, piccoli animali tranquillizzanti come l’orsetto, ma anche inquietanti come il dinosauro, i vestiti e la tazza. Quest’ultima, ci spiega l’artista, rappresenta l’evoluzione trasfigurata del contenitore universale, il sacco amniotico, ancestrale luogo di liquida culla protettrice.
Nelle Case delle Fate il percorso artistico esce dalla dimensione del contenitore e sembra liberarsi finalmente nel gioco, nel contatto con l’esterno e con l’altro da sé. Il materiale usato è duttile, caldo, vivo e le composizioni che ne derivano rispecchiano la fluidità e la sensualità della cera d’api con cui sono modellate. Castelli con pinnacoli, colati come si cola la sabbia bagnata per costruirli ai bambini, misteriosi , segreti e incantati perché, appunto…, casa delle Fate.
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Daniela Cresti
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