L’evento lucchese mette bene in luce non solo i ritratti degli aristocratici in viaggio d’“
iniziazione” in Italia, ma anche le altre declinazioni di
Pompeo Batoni (Lucca, 1708 – Roma, 1787) pittore o, meglio, artista a tutto tondo, come viene presentato nell’opera introduttiva alla mostra, l’
Allegoria delle Arti. Batoni, del resto, inizia a formarsi come orefice nella bottega del padre. Completa poi gli studi a Roma, disegnando dal vero nudi accademici e monumenti antichi, opere presenti in mostra insieme ai disegni preparatori per diversi quadri esposti.
Sin dalle primissime sale è evidente il suo profondo naturalismo e anche, nei piccoli dipinti di devozione privata, la tenerezza delle espressioni. Scaturisce, invece, forza espressiva dalla siciliana
San Giacomo condannato al martirio, l’opera più grande mai realizzata da Batoni, restaurata in occasione della mostra e non esposta in luogo pubblico dal 1908.
Del resto, altro intento avevano queste pale religiose pubbliche, ancora aderenti, sulla scia carraccesca e reniana, a quella fedeltà e decoro rispondenti alle esigenze di una Chiesa che doveva difendersi dalle istanze illuministe di laicità e razionalità.
Tuttavia, è in capolavori come La Sacra Famiglia che Batoni riesce meglio a toccare le corde emotive dello spettatore. Il delicato scambio di sguardi e gesti tra il Bambino, Maria e San Giuseppe, adorante nella penombra, riecheggiano direttamente il suo supremo modello:
Raffaello.
L’artista riuscirà a mediare queste due diverse urgenze, devozione privata e pubblica, nell’iconografia del Sacro Cuore, che riesce a codificare, diffondere e traghettare indenne, attraverso l’epoca dei Lumi, al secolo successivo e ben oltre.
Dei ritratti dei nobili stranieri a Roma, quello che colpisce è la rapidità con cui l’artista rende i tratti essenziali della personalità del soggetto, come per l’
à plomb inglese dello sguardo di
Will Hill, e per contro quello vivace e quasi impacciato dei due conti irlandesi di
Milltown. Nei successivi ritratti degli esponenti di corte o del papato, invece, paesaggi e arredi acquisiscono il ruolo di coprotagonisti.
Nel 1766,
il ritratto de
Il principe Abbondio Rezzonico senatore di Roma è ancora barocco nel virtuosismo della trattazione pittorica del tavolo di gusto rococò e nelle pieghe del manto. Nel 1775, invece, Batoni ambienta i suoi personaggi in cerca di prestigio in interni di gusto classico: la corona dell’
Elettore Karl Theodor poggia su un tavolo con gambe a foggia di sfinge alata. Scopriamo un Batoni anticipatore di istanze neoclassiche, nella Roma dove Winckelmann e
Piranesi avevano già iniziato a operare. Peccato per l’impossibilità di confronti diretti con l’altro maggior ritrattista dell’epoca a Roma e rivale,
Raphael Mengs (esposto, però, in contemporanea a Padova).
Siamo comunque di fronte, grazie a tale fedele ricostruzione del contesto e agli approfonditi contributi interpretativi, a una panoramica sulla figura dell’artista, volta a stimolare una fase di recupero critico dopo una stagione meno felice, che ha visto privilegiati i pittori del “
piacere negativo”, del sublime inteso come sentimento
dionisiaco, irrazionale, a discapito di chi, come Batoni, aderiva a correnti che promuovevano l’ideale classico di un bello
apollineo, armonico e misurato.