“In quel tempo Ben venne a Firenze e disse: sono venuto per ascoltare la risata di Chiari, e cercare il limite dell’arte…”. Parafrasando Cristo, l’artista si accinge in questa mostra a dimostrarci che il limite dell’arte è dimenticare l’arte. E che è l’artista a decidere il limite dell’arte stessa. Che per cambiare l’arte si deve cambiare l’uomo. “ …ma perché cambiare? Le donne mi piacciono così, conclude Ben Vautier (Napoli, 1935; vive in Francia) in una delle sue opere, scritte sul muro dello spazio espositivo. E al di là di tutte le enunciazioni sembra essere questa la verità somma: gli piacciono le donne, e “il flusso inarrestabile della vita che sbaraglia il vetusto circuito artistico” (Claudio Musso). Lo afferma quasi convulsamente e ne sembra irretito, anche nelle considerazioni poetico-ironiche o nelle performance affabulatorie sulla grande pittura del passato, da Rubens a Velasquez, da Giotto a Michelangelo. Tutti Importanti, tutti esposti in grandi Musei, tutti artisti fiacchi di ego tutti “…lecchini del potere…”. Insomma una banda di egoisti, di “pompiers”, che compiacciono il padrone e camuffano il loro erotismo in scene bibliche con donne nude e seducenti insieme a seducenti uomini nudi.
Vautier è un ironico-incazzato a tempo pieno, trasuda trasgressione, e nella migliore tradizione dei fluxers parla di artisti che nella pittura u
Per quanto le opere risentano di evidente datazione del linguaggio espressivo e dell’insita “filosofia” inizio anni Sessanta, la grande rilevanza del movimento sta ancora in Ubi Fluxus ibi motus (Biennale di Venezia 1991).
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daniela cresti
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