Egisto Fabbri e Charles Loeser vivono Firenze dalle colline, nelle loro ville, austere nell’architettura e nell’arredamento, circondate da ampi giardini secondo un’estetica della vita all’aria aperta di matrice anglosassone ben presente in mostra attraverso i dipinti di John Sargent –Bambini Vickers–, di Alfredo Muller, dello stesso Fabbri e di altri anglo-fiorentini.
“Giovani, ricchi e belli”, li descrive Francesca Bardazzi, curatrice della mostra insieme a Carlo Sisi, votati ad un’estetica un po’ dandy, ma capaci di sorprendere per l’austerità e la lungimiranza delle loro scelte. I due collezionisti a cui si fa riferimento in mostra sono uomini diversi per carattere e inclinazioni, ma furono tra i primi ad acquistare quadri di Paul Cézanne (1839-1906) per adornarne le proprie case. I due rivivono nell’ambientazione della mostra, nel restaurato Palazzo Strozzi, fra pareti candide, capitelli in pietra serena e grandi finestre, creando l’effetto di un continuum con le foto d’epoca che accompagnano il percorso.
Per Egisto Fabbri Cézanne diventerà una passione esclusiva e dominante. Pittore, filosofo e architetto, la pittura fu per lui, italo americano, un esercizio continuo: a New York con Alden Weir e a Firenze con Gordigiani. Le sue opere sono variamente improntate ad un gusto internazionale e accademico e comprendono i ritratti delle sorelle, tentativi di pittura storica e di paesaggio. Quest’uomo colto, ma all’apparenza convenzionale, sorprende molti quando a Parigi nel 1896 compra dal mercante Ambroise Vollard dei quadri di Cézanne, arrivando negli anni seguenti a possederne ben 32, tra cui Il ritratto di Madame Cézanne e La casa sulla Marna. Dopo il rientro da Parigi le opere di Cézanne figuravano sulle pareti della sala da pranzo e, in anni in cui il maestro francese non era particolarmente amato, costituivano un’esperienza davanti alla quale molti visitatori illustri restavano interdetti.
Charles Loeser, figlio di tedeschi immigrati negli Stati Uniti e amico di Bernard Berenson, godeva fama di grande connaisseur, ma collezionava soprattutto opere e manufatti rinascimentali.
Poco dopo Fabbri anche lui acquistò da Vollard opere di Cézanne, arrivando a possederne circa una ventina tra cui le Bagnanti, ora al Metropolitan, in cui Cézanne cercava di realizzare l’ideale di un’arte moderna che potesse competere con Poussin, e infine entrare nei musei. Tuttavia preferiva appenderle in camera da letto o in stanze private, mostrandoli su richiesta ad amici e conoscenti, come Leo e Gertrude Stein.
Dunque le opere di Cézanne in esposizione non servono tanto a inquadrare lo sviluppo e le fasi della sua pittura, quanto a comprendere un’avventura del gusto. Quando Fabbri e Loeser comprarono le sue opere riconobbero, forse, una certa consonanza di spirito: “Capisco la loro bellezza aristocratica e austera” scriveva a Cézanne Fabbri. I due collezionisti seppero indiscutibilmente precorrere i tempi della critica: nel 1920, quando si cominciava ad acclamarlo come caposcuola, bisognava andare a Firenze per ammirare molti quadri del maestro di Aix. Da lì a poco Fabbri vendette la maggior parte della sua collezione per seguire una religiosità profonda, mentre Loeser diede disposizioni testamentarie precise, e pur lasciando una cospicua collezione alla città di Firenze, che lungamente lo aveva ospitato, destinava i suoi Cézanne al presidente degli Stati Uniti, con un vademecum che può ben valere anche per gli osservatori di oggi: posti ad una certa distanza nella stessa stanza sembrerà di vedere delle finestre aperte. Fu così che a Firenze si chiuse un’epoca spregiudicata, in cui potevano convivere l’anima rinascimentale e l’inquietudine contemporanea di Cézanne.
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