Per immergersi nell’atmosfera della Firenze della Duecento bisogna in qualche modo dimenticare la città come è oggi. Aiutati dal catalogo –che esplora le vicende urbanistiche- e dai supporti digitali in mostra, bisogna lasciare che l’immaginazione ricostruisca la città turrita e piena di passaggi e antri, la vecchia cattedrale di Santa Reparata (lo scenario –per intenderci- è quello delle pagine dei best-seller di Giulio Leoni) la penombra di candele e viuzze in cui meglio rifulgevano gli ori delle Madonne, i bagliori delle spade e la corruzione di una città troppo ricca.
La mostra all’Accademia rende conto di un periodo in genere trascurato dal pubblico dei non specialisti. La data ideale d’inizio va collocata nel 1252, con il conio del primo fiorino d’oro, con il quale Firenze può assestare la sua situazione di dominio sui mercati internazionali. Questa enorme disponibilità economica si riflette nei grandi cantieri della fine del secolo, ma già da prima nelle opere di oreficeria che arrivano da ogni parte. L’intensità di quei giorni è fatta rivivere dal saggio di Franco Cardini che riepiloga in maniera avvincente di lotte fratricide, problemi demografici e monaci operosi e intriganti.
Se il parallelo fra Dante e Giotto è quasi obbligato per quello che riguarda la lingua letteraria e quella figurativa, qui cogliamo intensamente come potevano nascere le Madonne di Giotto giovane (da Borgo San Lorenzo e da San Giorgio alla Costa): a Firenze oltre le presenze eclatanti di Cimabue e Coppo di Marcovaldo lavoravano artisti abili e fortemente creativi. Da Meliore al Maestro della Maddalena ogni opera ha vivacità e freschezza in un’infinita variazione di modelli iconografici che pure sono fissi: bambini scherzosi, abiti ricamati, intarsi e monete come opere d’arte. Le loro provenienze disparate suggeriscono ancora la ricchezza del territorio fiorentino. E accanto a gigli e fiori lapidei spicca il rilievo col San Giorgio che uccide il drago proveniente dalla vecchia porta di San Giorgio, di cui è ancora possibile leggere la
Infine per un parallelo tra pittura e scultura c’è un opera che da sola giustifica e dà senso a tutte: è l’Annunciazione di Arnolfo di Cambio dal Victoria and Albert Museum. Sembra il coronamento della serenità e forza di un’epoca ed è proprio l’arrivo di Arnolfo a segnare l’inizio della Firenze monumentale.
silvia bonacini
mostra visitata il 1 giugno 2004
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