“Questi ultimi lavori sono la continuazione e l’ampliamento di una ricerca sul corpo, inteso come corteccia, pelle, velo, contenitore; un corpo esterno che muta in continuazione”.
È questa dunque la chiave di lettura delle Fathime di Patrizia Guerresi Maimouna esposte nella galleria fiorentina Varart.
Affrontando un tema estremamente attuale, come quello delle “donne velate”, Patrizia Guerresi Maimouna incentra la propria ricerca artistica sulla spiritualità femminile, offrendo il punto di vista di una donna occidentale, convertita alla fede musulmana. Lavorando con la fotografia e il calco scultoreo l’artista realizza delle
Fathima è la donna, la madre, la Vergine. Tre elementi si combinano nell’opera di Patrizia Guerresi Maimouna: l’erotismo e la sensualità del corpo femminile, la maternità, la spiritualità e la fede religiosa. L’unione di queste tre componenti esprime una visione del tutto particolare della donna velata: il velo è inteso “non come imposizione ma come copertura, corazza, protezione di un sensuale pudore materno e femminile, ma anche contenitore di arcaici misteri, di energia e di potenza spirituale ”.
Il corpo non si pone mai nella sua totalità, ma si presenta per frammenti, ritagli (e qui il riferimento a Igor Mitoraj è d’obbligo), oppure è coperto, sottinteso, quasi a indicare la propria mutevolezza, precarietà. Sul corpo sono posti alcuni oggetti, come le conchiglie della Vergine della Capa-Santa, il corpetto della Vergine della Luce o il grande unico seno (frutto di una precedente scultura) della Vergine del Latte .
Poste in secondo piano rispetto all’opera scultorea, sia nel numero che nella collocazione, risaltano invece le fotografie, fortemente evocative, ma al tempo stesso eteree e immateriali.
Patrizia Guerresi, attiva in Veneto già dagli anni settanta, aggiunge al proprio nome di nascita anche quello islamico di Maimouna (nome della madre spirituale) datole in Africa dieci anni fa.
beatrice guarneri
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