Da una suggestione forte per la parola nascono questi ultimi lavori di Sabrina Mezzaqui (Bologna, 1964). La parola come entità corporea, come strumento narrativo o poetico, come flusso di pensiero, o semplicemente come segno visivo, traccia. Proferire parole, raccontando o solo dicendo: il contatto, la visione, l’ascolto si condensano in queste gemme. Parole che generano bellezza. La Mezzaqui insegue una bellezza effimera all’apparenza, fatta di fiato, scrittura, movimenti impercettibili. Ma che possiede una consistenza assoluta ed eterna.
Su un grande foglio di carta l’artista trascrive, con esercizio lento e metodico, l’intero testo di Cassandra, di Christa Wolf: le pagine rettangolari scandiscono con ritmo regolare la superficie bianca, facendola vibrare attraverso la fitta trama dell’elegante, minuziosa scrittura ad inchiostro nero.
Il brano di Goethe, Iniziativa, scorre dall’alto verso il basso su una parete. Il testo, giunto al limite del muro, prosegue per poche righe sul pavimento, con lettere in rilievo; poi, l’ultima frase, divenuta oggetto scultoreo, si erge, perpendicolare al suolo. L’effetto ottico è di notevole impatto, il testo scivola cambiando dimensione spaziale, scorre, si schiaccia a terra, poi si solleva in una riga di lettere lapidarie.
Il racconto de Le mille e una notte diviene elemento oggettuale, quasi decorativo: il testo originale, in arabo, viene raccolto in piccole perle di carta, unite a formare un lungo filo che dal soffitto scende a terra, per comporre una spirale esatta. Un oggetto che richiama quegli aspetti della cultura araba intimamente legati alla ripetizione: la preghiera, che ritma con cadenza esatta le giornate, gli ipnotici movimenti circolari delle danze sufi, il tradizionale decorativismo geometrico, l’esercizio della calligrafia.
Al piano inferiore, una figura coperta da un lungo manto, la testa completamente
Il romanzo di Lalla Romano Le parole tra noi leggere prende corpo in un’altra installazione: una lastra di vetro, sospesa al soffitto da sottili cavi d’acciaio, è ricoperta da un cumulo di cubetti di carta, pagine del libro che si condensano in forme regolari e ripetute. L’ombra delle leggerissime tracce cubiche si proietta sul pavimento: un doppio immateriale della scrittura/oggetto, un’aura effusa che, per contrasto, restituisce ulteriore fisicità al mucchio scomposto di parole.
Il corpo della scrittura, l’anima della parola si inverano sulla superficie dell’esistenza, attraversata e raccontata in un gesto solo.
helga marsala
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sì, caravaggio, melloni...
..e io vorrei sapere perchè ci si ostina a puntare su artiste derivative. Non basta avere Eva Marisaldi che ha già detto tutto in più di dieci anni di onorata carriera?
E poi ancora. Complimenti all'originalità dell'iconografia utilizzata (da Sara Rossi, alla Morgantin, a Jota Castro).
Ma quei cubetti nn vi ricordano anche altre cose ancora?
Che Palle!
Che Palle.
Non riesco proprio a capire perchè così tanti artisti sentano il bisogno di tirare in ballo con ciò che fanno il lavoro di Pasolini (Sono sicuro che ha preferito il modo in cui è stato ucciso da vivo al modo in cui lo stanno seviziando la Benassi e Vezzoli da morto), Goethe, Virginia Woolf, Poetesse e intellettuali vari.
Io credo che lo facciano perchè sentono la pochezza del discorso di cui tanto si riempiono la bocca.
Le loro opere sarebbero spazzate via dalla corrente in un attimo, e allora, meglio ancorarsi al lavoro di queste personalità da alcuni amate, da altri discusse, ma comunque rispettate e riconosciute, così come la cozza si lega al proprio scoglio e comincia a filtrare la merda.
da uno che si chiama happy meal quali commenti potevi pensare che tirasse fuori? PER QUANTO RIGUARDA INVECE CARAVAGGIO NON MI SEMBRA CHE DI COGNOME FACCIA MELLONI, HI HI HI HI HI HI HI HI !!!!RILASSATEVI.........