La mostra consegna il visitatore all’attimo impercettibile del non-ritorno che scandisce l’inspirazione dall’espirazione. Tutte le opere -video, disegni e foto- sono
sospese. Attengono a un’area dai contorni indefiniti, che si rarefa nelle nebbie di Giovanni
Ozzola, nello sciacquìo del mare di Michelangelo Consani, nelle spiagge melanconiche di
Robert Pettena o nel blu intenso di orizzonti notturni.
Ogni opera trova il proprio habitat non nella separatezza, ma nel far parte dell’indefinibile fraseggio immaginifico del
vacuus. Una sorta di stato iper-percettivo che segue lo svuotamento della mente nell’abbandono alla
vacanza, il lasciarsi andare all’evocativo, al miraggio, al sogno.
Un breve video di presentazione e nient’altro al piano terreno. Il percorso espositivo ha il suo reale inizio con
Tetto (La mattina rinfresca), la grande foto di
Antonio Rovaldi. Un tetto
appeso nel verde. Uno scatto spaesante, la sensazione di un edificio senza struttura. È un “
suicidio nel verde delle palme umide e calde”. Spaesanti sono anche le
Isole di
Sabrina Mezzaqui, che cerca con disegni a pennarello di riannodare la trama perduta nell’“
insensatezza dei gesti nella solitudine”.
Nella negazione di qualsiasi teoria prospettica occidentale, il percorso artistico non ha linearità. Senza paura dei vuoti, gli spazi sono ampi fuori e all’interno delle opere. Si svincolano dagli schemi con toni musicali ritmati e lievi, col quotidiano evolversi di luci ed ombre, nel momento magico del
no man’s land. La “
positiva sospensione” si coglie appieno nel dvd
Naviganti, dove
Consani afferra l’attimo fugace in cui la donna sale sulla barca da pesca e ne prende il timone.
Nelle foto di
Ozzola c’è oblìo prospettico. L’artista non si pone al centro del “punto di fuga”, ma cerca la “
fuga” nella totalità dell’immagine. Nascono così
Sand Desert e
Ultra Blue Night-horizon, foto su carta dove lo stesso passepartout opera un passaggio visionario dal soggetto all’oggetto evidenziato. La distonia dei due pezzi, nella stessa parete, rimanda a una visione discordante. La stessa distonia che riscontriamo nel video di
Robert Pettena, solitario e unico nello spazio riservatogli. Non è un caso: l’opera simbolizza la sintesi di tutta l’esposizione ed è un vero e proprio atto respiratorio che lascia indifesi.
L’artista, nella sua perenne fuga, sposta l’obiettivo. Qui si adagia su un’immagine solitaria di bambino di fronte a un mare immenso e grigio. Non lo lascia un attimo, sottolinea il suo muoversi senza nulla compiere; la sua calma insolita in un contesto tutt’altro che tranquillo. L’ansia è stemperata in tonalità di grigio sorprendente; poi volge la telecamera e guarda con “
un occhio nero e un occhio blu / bambino io bambino tu” (Zucchero).
Il
sospiro si fa concreto. Il cielo si squarcia in un afflato di azzurro e l’orizzonte si fa respiro, si sfuoca e di nuovo torna a fuoco, come pausa vitale di sospensione e risveglio.