Uno stretto corridoio; lungo la parete scorre il tempo
dell’Antica Roma, epopea convulsa di lotte, vittorie, disfacimento. In assenza
di byte e bande larghe è la moneta a comunicare, fino alle terre estreme del
dominio romano, non solo l’annuncio di vittorie, l’ascesa al trono di un nuovo
imperatore, la costruzione di una grande opera, ma anche il culto delle divinità
e quello dei valori.
I primi metalli per le fonderie arrivavano dall’Elba. In
principio furono forme regolari, simili a piccoli lingotti, che non avevano un
valore premonetale ma ne avevano uno esattamente corrispondente a quello
intrinseco del metallo.
In principio fu soprattutto “
aes rude”, bronzo. E dire che, in fatto di
monete, Roma arrivò in ritardo, tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.
Le prime infatti compaiono nelle colonie della Magna Grecia e in Sicilia. E quasi
certamente, prima ancora che a Roma, si coniò a Vulci e a Populonia, fissando anche
qui una tradizione etrusca.
Le prime monete romane erano fuse in bronzo, emesse su
base libbra, e il loro peso rigidamente fissato. Con l’espansione di Roma, la
sua ricchezza moltiplica i mezzi di scambio: le
Didracme e le
Statere a base d’oro, il
Denario in argento e il
Vittoriato. Ma ecco la prima grande
svalutazione: quanto fragile è la stabilità economica in ogni epoca! Nel III
sec a.C. il crack è dovuto alla guerra, all’enorme sforzo patito da Roma per
battere i sanniti, nella battaglia contro Pirro e in quelle contro i cartaginesi.
Ma non è ancora tempo di adrenalinici
fixing, di
currency swap o altri sofisticati sistemi di
copertura. Qui, più semplicemente, si riduce il peso della moneta.
Le teche del Corridoio Mediceo svelano anche il segreto
della fusione, forme bivalve da cui uscivano grappoli di monete. Il controllo
centrale era ferreo. Le zecche erano solo a Roma; in seguito ne vennero create
altre ad Antiochia e Nicodemia. La storia rimane impressa sui lati del metallo,
come la guerra sociale del I sec. a.C., in cui si tentò di edificare un nuovo
Stato: Viteliu, nome osco dell’Italia.
Il lato principale della moneta celebra, durante la
Repubblica, gli dei: Giano, antichissima divinità italica, dio dell’origine,
antitesi della fine, e pertanto bifronte. Oppure Giove, l’ottimo e il massimo
degli dei; la sua gelosissima Giunone, protettrice delle matrone e dea del
vincolo coniugale. E ancora Minerva, e Veste, e Cerere…
Dalla Repubblica all’Impero. Il Triumvirato rischia di
minare il controllo centrale del conio. Interviene Augusto e mette mano a un poderoso
riordino del sistema monetario. Dalla fusione emergono i simboli imperiali, i valori
fondanti:
spes,
virtus e le
loro personificazioni, come l’Aequitas o la Laetitia.
L’oro era purissimo, 960-980/1000, come sentenziava una
misteriosa sigla:
OB – obryzum. E poi argento, bronzo e – dal III sec. d.C. – anche in
oricalco, una lega di rame e zinco. Da dove provengono questi reperti? Chi li
ha conservati nei secoli bui dopo la caduta di Roma? Come arrivarono a Lorenzo
il Magnifico, che nel 1492 fece fare l’inventario della sua collezione di 2330
pezzi? Non c’è una risposta a queste domande. Almeno fra le teche del Corridoio
Mediceo.
È invece certo che il Medagliere sia stato donato al Granducato nel
1743 da Anna Maria Luisa de’ Medici e così sia pervenuto al Regno d’Italia. Distaccato
dagli Uffizi, dal 1895 è collocato nel Palazzo della Crocetta.
Prima di terminare il percorso, un salto nel Rinascimento:
attraverso le grate è possibile gettare lo sguardo da una prospettiva davvero inusuale
all’interno della Basilica della Santissima Annunziata.