Due punti di fuga idealmente individuati fuori dalla Tinaia di Levante, la sfera dell’interiorità. Poi la materia: marmo bianco di Carrara. E l’installazione
Dove tende Aurora. Bosco di colonne di
Hidetoshi Nagasawa (Tonei, 1940; vive a Milano) prende forma. L’idea, “
rendere visibile l’invisibile”, e la realizzazione, un bosco che “vive” in un interno.
Il sapore del passato si gusta nell’oscurità e nel passaggio attraverso il labirinto di colonne. Le grandi volte della settecentesca tinaia in mattoni rossi sono una sorprendente scenografia e l’opera ne esalta e ne valorizza la visione. Nella semioscurità l’occhio ha qualche attimo di adattamento, poi focalizza il “bosco”: è un dedalo ideale che porta alla ricerca dell’io, del sentire profondo, del concetto. Lo spazio è cadenzato da un intreccio di colonne marmoree bianche che creano un chiostro moderno con molti richiami al passato e alla storia dell’arte occidentale e orientale. Architettura semplice ed esemplare, raffinata ed essenziale, veramente suggestiva.
L’installazione è composta da 49 colonne, di cui otto non visibili ma che delimitano le linee prospettiche, collegate nella loro parte alta da strisce anch’esse di marmo bianco. L’opera è stata creata appositamente per questa mostra a Villa La Magia. Purtroppo non rimarrà nell’ambiente che è assolutamente il suo contorno ideale, dove il “genius loci” si assapora in ogni angolo ed è spirito e cardine del progetto sul contemporaneo su cui il Comune di Quarrata si è impegnato con successo da alcuni anni.
L’altra installazione, quella sì permanente, è fuori, in un angolo appartato del giardino, dietro la tinaia, ancora mai utilizzato. Nagasawa l’ha scelto per la sua vicinanza al bosco, dov’era sua intenzione posizionare l’opera. Poi ha deciso per maggior sicurezza e possibilità di conservazione di “rovesciare” il suo giardino e ha creato un’idea di bosco all’interno del parco. Nel
Giardino Rovesciato l’artista intreccia due archi in una spirale con l’antico metodo del muro a secco, col cotto dei coppi, col rosso pompeiano dell’intonaco interno. Tale avvolgente spazio contiene un
primordio di bosco. È un inizio: “
In principio era… il seme”.
Anche in quest’opera si punta lo sguardo verso il mistero dello svolgersi della vita. Solo a un albero di melograno è demandato lo sviluppo dell’opera. La scelta celebra il significato del frutto, sinonimo da millenni di fertilità ed esuberanza di vita. A questa pianta che attraversa il mito e il divino, sacra a Giunone e a Venere, simbolo di resurrezione e di ardente amore dalla Persia all’Estremo Oriente, l’artista affida l’evoluzione dell’opera. Lo assurge a
princeps e
principium del ciclo naturale e della casualità del divenire.