In primo piano ci sono teste in ombra, rivolte verso il centro della foto. Verso il rettangolo nero davanti al quale una donna, girata di spalle, si sta sfilando l’ultimo indumento rimastole. Sotto di lei, un pavimento luminoso di vetro diviso in quadrati. Sopra, un soffitto a specchio che riflette forma e luce del pavimento. È una delle foto che
Frank Horvat (Abazia, 1928) riuscì a scattare nel ‘56 a
Le Sphynx, un locale parigino di seconda classe situato in rue Pigalle, su commissione di un giornale newyorkese per uomini. Quando una delle ragazze cominciò ad assillarlo con la storia della paga delle modelle, costringendolo alla ritirata, Horvat aveva già finito tre rullini.
La storia rocambolesca non deve però trarre in inganno: tutte le foto di questa serie, esposte da Assolibri, mostrano una composizione formale rigorosa, in cui il corpo o i corpi luminosi e soffici, ma solidissimi, delle ragazze diventano l’elemento ordinatore, ciò intorno a cui tutto il resto prende posizione. Non solo: il corpo è ciò che crea lo spazio, sostiene l’intera immagine e la illumina, rendendo possibile l’acceso a essa. Come accade in un’altra delle foto scattate a
Le Sphynx, nella quale il corpo bianco e sinuoso di una ragazza in primo piano, preso di profilo dalle caviglie al seno, divide in due metà esatte e inconciliabili ciò che,
in penombra, è situato dietro di lei: un uomo seduto con una bottiglia di champagne da una parte, una ragazza che aspetta di andare in scena dall’altra. Quasi come se fosse il
trumeau di una chiesa romanica (e alla scultura romanica Horvat dedicò un reportage tra il 1966 e il ’67). Altre volte invece sembra di cogliere echi della scultura classica nel modo in cui i corpi sono trattati, se non addirittura dell’architettura: c’è infatti una foto in cui una fila obliqua di corpi nudi visti di schiena, regolare come una fuga di colonne, accompagna lo sguardo verso il fondo dell’immagine, dove un uomo seduto a un tavolo sta osservando la scena. Mentre nelle foto scattate nel back stage è spesso la scomposizione dei piani, dovuta alla presenza di specchi, a frammentare i corpi.
Sono tutte suggestioni che contribuiscono a creare un alone di indeterminatezza, a trasportare l’immagine in un altrove indefinito quanto sfuggente. Le donne, fotografate nude, riescono comunque a non esplicitarsi mai completamente. Conservano qualcosa di enigmatico, sono refrattarie alla completa rivelazione.
Caratteristiche che creano continuità con le altre foto in mostra: da quelle scattate al
Crazy Horse nel 1962 fino a quelle di moda degli anni ‘80. In una delle quali, per il Frankfurter Allgemeine Magazine, il corpo femminile si occulta completamente, sollevando con le braccia il proprio vestito. Che rimane l’unica cosa visibile di un corpo che si può solo indovinare.