L’essenza del ritratto, su tela o pellicola, deriva almeno da due cause fondamentali: l’affermazione identitaria e la testimonianza storica. Invece, la fascinazione che lo pervade è connessa alla legge del divenire, cioè all’annullamento della distinzione tra essere, essere
altro e non essere
più. In fondo, noi saremmo sconvolti dalla relazione paradossale tra la fissità del soggetto e il movimento temporale che riduce la presenza a ricordo, il presente a passato. Roland Barthes, interrogandosi sul fattore misterioso che lo attraeva a certe immagini (il
punctum), concludeva inaspettatamente che “
la fotografia mi dice la morte al futuro”. E proseguiva: “
Io fremo per una catastrofe che è già accaduta”. Dunque, trovava nella ritrattistica più che l’intento celebrativo, più che la definizione dell’assetto sociale, il tratto della nostra fugacità.
Tale volto umano capace di sedurre, denunciare, rivelare è il protagonista della mostra
Faces. Ritratti nella fotografia del XX secolo, collettiva ospitata dalla Fondazione Ragghianti e contestuale al
LuccaDigiPhotoFest’08. In riferimento ideale al grande ritrattista lucchese
Pompeo Batoni – che sarà commemorato nel terzo centenario dalla nascita con una prossima esposizione – il progetto traccia un excursus sul genere attraverso alcuni passaggi fondamentali, a livello tematico e stilistico.
È proprio tale scelta, di procedere per momenti significativi, a esigere una riflessione specifica. Perché se è innegabile la legittimità di uno studio storico e criticamente orientato sul ritratto fotografico – nel caso in questione si è posto l’accento sul rapporto tra singolo e contesto sociale – è altrettanto innegabile l’impossibilità di darne conto con un’unica iniziativa. Lo stesso comitato scientifico della mostra, in alcune note, accenna alla parzialità del materiale. Conviene però aggiungere, affinché la mancanza non infici il valore, che
Faces è da considerarsi soprattutto come introduzione a un discorso più ampio. È ovvio che scelte a favore di altri fotografi e di altre declinazioni – e non è escluso che saranno gli stessi curatori a proporli in futuro – sarebbero state comunque accettabili.
La selezione attuata ha coinvolto diciassette autori, tutti particolarmente significativi. Alcuni
inter pares:
August Sander, che all’inizio del XX secolo realizza un archivio immagini del popolo tedesco e subisce più tardi, per via dei risultati non corrispondenti alla tipologia ariana, la censura violenta del nazismo;
Arnold Newman, per i cui scatti ritraenti personaggi famosi venne coniato il termine “ritratto ambientato”.
E ancora:
Paul Strand, con la stupenda serie
Luzzara, concepita in Italia nel 1954 insieme a Cesare Zavattini;
Larry Clark, tra i primi a mostrare l’emarginazione di certa gioventù americana;
Boris Mikhailov, presente con le terribili conseguenze dovute allo sfaldamento dell’impero sovietico. Da segnalare anche alcune rarità, come le prostitute di
Ernest J. Bellocq, nonché le immancabili firme di
Andy Warhol e
Diane Arbus.