È
Sheeploop (2000) ad aprire il sipario. L’opera è un piano sequenza di un gregge di pecore al pascolo. L’artista l’ha realizzato semplicemente posizionando la propria videocamera su un tripode. Il caso ha fatto il resto. Il contesto in cui il singolo osservatore decide liberamente di collocarla ne svela il “significato”. Col mutare del contesto, muta l’esperienza e quindi il significato. Così come
Michael Snow (Toronto, 1929) immagina di vederci
“un gruppo di visitatori di una galleria d’arte”, altri possono interpretarlo come uno spettacolo di varietà o, perché no?, un gruppo di bambini che giocano. Il contributo umano sta solo nell’osservare e nel lasciarsi andare, facendosi trasportare dagli eventi -tutto può accadere durante le riprese e tutto può suscitare emozione o essere fonte di ispirazione- ma soprattutto dalla videocamera, la vera protagonista delle opere di Snow e dalle sue potenzialità. L’artista canadese continua dunque il proprio studio, iniziato nei primi anni ‘60 con la serie
Walking Woman (proiezioni su figure ritagliate in compensato dipinto, e a Lucca si può vedere
Little Walk del 1964, sulla possibilità di superare le capacità percettive umane attraverso la sperimentazione di applicazioni tecnologiche.
Cinema, installazioni video e arti visuali richiede tempo e concentrazione, ma ogni “sforzo” sarà premiato. Il percorso espositivo è una visita guidata -ogni installazione, per un totale di tredici, è corredata da una didascalia che descrive l’opera- fra alcune delle più famose opere degli anni ‘60 e ‘70 dell’artista e di alcuni tra i suoi più recenti lavori. Il messaggio non è mutato nel tempo: è il mezzo e non l’essere umano il vero regista, che non limita ma anzi libera lo spettatore.
Ciò è ancor più evidente in
Solar Breath (2002), un piano sequenza fisso dalla finestra della baita canadese di Snow, che rimanda per certi aspetti a
Wavelength, realizzato nel 1967. In
Solar Breath, tuttavia, la videocamera non parla la lingua dello zoom per manifestare la propria presenza. È il movimento casuale del vento a rivelarcela, provocando uno spostamento della tenda della finestra appena sufficiente per permettere all’osservatore attento di riconoscere, sullo sfondo, posizionato all’esterno dell’abitazione, un pannello solare che alimenta la batteria che, a sua volta, alimenta la videocamera.
È forse con la rappresentazione della
“disgregazione dei confini dell’ego e l’implosione emotiva della coppia” di
Couple (2001) o con la sovrapposizione di immagini, suoni e dialoghi di due uomini e una donna in
Sshtoorrty (2005) che l’osservatore può cadere in inganno e pensare a un cambiamento. A una sorta di conversione dell’artista canadese in merito al ruolo dell’uomo nelle sue opere e nell’arte in generale. Ma si tratta solo di un pensiero fugace. Lo conferma
Observer (1974) che, non a caso, è l’ultima opera del percorso espositivo. Anche se l’osservatore interagisce con l’opera, il suo ruolo si riduce a una semplice rappresentazione bidimensionale della sua presenza.
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questo è un ottimo artista. Se nn sbaglio la sua galleria di riferimento dovrebbe essere shainman. Un po' classico ma nn male.