La
relazione tra i segni e le cose si propone affermativamente nel titolo della mostra di
Claude Closky (Parigi, 1963).
Yes come asserzione d’intervento dinamico dello spettatore, che interagisce con l’opera e se ne appropria. Ma la relazione è qualcosa di più della sommatoria delle singole componenti. Tutto ciò che emerge nella comunicazione tra i soggetti e il comportamento interattivo con le cose va al di là dell’individuo stesso. Nella relazione sta lo svolgersi della vita quotidiana.
Closky esprime un’ottima capacità di esaminare e riprodurre il dettaglio con un’ottica dilatata e deformata. Si muove con estrema competenza nell’universo dei segni, avvalendosi di molteplici mezzi espressivi come video, sonorità, pittura, applicazioni digitali e internet. Nell’installazione che campeggia al centro dello spazio P27 della galleria dominano quattro cabine elettorali dove si può esprimere il proprio voto per via telematica. Ma né l’individuo né le modalità di comunicazione hanno un senso dialettico.
C’è un gap concettuale tra le aspettative personali e l’attuazione dell’intento: la scelta non ha nomi e non ha segreti, anzi viene trasmessa nell’intero spazio circostante. Si
agisce sul nulla, un paradosso che sfalsa i significati normalmente associati ai linguaggi comunicativi. La relazione s’incrina, s’infrange nella diffusione sonora che accompagna la decisione dentro le urne e non suggella
guarigioni, ma perpetua la cristallizzazione identitaria del ciò che eravamo e continuiamo a essere.
In
Maria Adele Del Vecchio è invece il
racconto l’interfaccia del suo esprimersi in
No End Is Limited, nello spazio P21 della stessa galleria. Raccontarsi ha capacità terapeutica. È mettere distanza tra ciò che si è e il “restauro” delle crepe e dei danni della propria esistenza. Attraverso la metafora narrata della vita, l’artista estrapola gli aspetti salienti di valutazioni e scelte creative.
Esporre attraverso le opere eventi reali o immaginati del vissuto trasforma l’“uomo senza qualità” in
assunto politico e prende forma nella figura di Gaetano Bresci. La sua immagine ricorre nelle opere esposte, come in
Selfportrait as Gaetano Bresci, e in essa Del Vecchio trova un’intima identificazione. È un modo per svincolarsi dalla massa anonima, è costruirsi un’identità personale più che politica, è capacità di esprimersi e f
are arte, è svincolo dagli schemi.
Foto, sculture e installazioni testimoniano la volontà dell’artista di ricondurre il disagio esistenziale nella dimensione storica e di sostenere il peso della solitudine. È lei stessa che si ritrae mentre entra vestita in un mare invernale: sola, senza soggiacere alla solitudine. Il mare è di un azzurro imperante, sembra condurla verso quel destino che lei, come l’anarchico Bresci, vuol cercare di cambiare.
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La mostra di Maria Adele Del Vecchio curata dalla compagna di Gigiotto Del Vecchio (il fratello). Che vergogna.
tipico atteggiamento da raccomandazione italiana, dopo bruna roccasalva che è curatrice alla gamec di bergamo e ha spinto il fratello in ogni dove adesso la sorella di gigiotto del vecchio in una mostriciattola curata dalla fidanzata di lui.L 'italia è questa, questo è il suo specchio, gigiotto ha sempre lavorato così, chi lo conosce lo sa benissimo