In bilico fra una matrice biomorfa e il tentativo verso una sua concettualizzazione e riduzione, il lavoro di
Claudia Losi (Piacenza, 1971; vive a Bologna e Piacenza) si dispiega letterariamente, ammiccando al calore materiale e simbolico degli oggetti piuttosto che focalizzarsi sulla critica asciutta all’uomo contemporaneo e al suo rapporto con la natura, come va di moda ora sulla scena artistica (pensiamo al lavoro di un big come
Tue Greenfort o alla collettiva
Katastrophenalarm alla Ngbk di Berlino).
La mostra si configura come una retrospettiva, con i diversi lavori che dialogano con lo spazio della cripta del museo. E se la forma simbolica della balena è il filo conduttore, in un movimento d’intrusione -ma senza shock- nell’immaginario naturale e animale dell’artista, allora le sale idealmente si prestano a essere l’antro archetipico dell’enorme mammifero.
Il centro della cripta è dominato da due installazioni simbolicamente antitetiche: da una parte la visione di un idillio corallino, costituito di circa 400 pesciolini colorati, realizzati a mano in lana tinta e imbottitura (
Balena Project / Ecuador ’05, 2005) dalle mani capaci delle donne degli altopiani ecuadoregni. Nel suo percorso non solo fisico, l’operazione dell’artista trova nel rapporto con l’altro valore e completezza per le sue opere. Così come nasce dalla collaborazione con Emilio Romano l’altra installazione che domina lo spazio centrale, opera realizzata per l’occasione: riproduzioni in ceramica bianca di porzioni di carne di balena (
Mukat, 2008), come pronti alla vendita all’ingrosso.
Il rapporto tra le due evoca la suggestione del binomio vita/morte, giocato sul contrasto cromatico e materiale in una dimensione leggera e consolatoria. Sul fondo, simulacri di piumoni con pesci e figure umane ricamate sopra, conservati sotto teca (
Celacanti, 2006), sembrano finti ready made che giocano la loro presenza sull’emergenza calda del materiale.
L’amore dell’artista per l’incontro e per la natura si concretizza nelle diverse declinazioni del suo fare, ma l’installazione più suggestiva risulta nel lungo corridoio (
Atti d’amore, 2003), dove piccole figure in panno grigio sono sospese nello spazio. Delicati rapporti a due, siano essi di amanti o di madre e figlio, tra animali che conservano nella loro semplicità tutta la chiarezza del senso vero e intimo di protezione. Delicatezza e intimità che si ripetono lungo le varie opere nell’insistenza del ricamo, tecnica che non riporta solo a una generica identità femminile, ma che soprattutto assume un valore antropologico nella collaborazione con gruppi di anziane signore nei
ricami collettivi (
Arthur’s Seat Project, 1990-2000;
Places / Bidassero / Ittiri / Sardegna, 2004).
Nel chiostro è infine installata la scultura totemica del
Balena Project che Losi sta portando avanti dal 2002: un’installazione a grandezza naturale di una Balenoptera Physalus, suggestione sia del tempo geologicamente passato, quando il mare lambiva gli Appennini, sia del tempo recente, quando nell’Italia degli anni ‘70 uno di questi animali sotto formalina era esposto di città in città come fenomeno da circo.
Ed è la seconda suggestione il motivo comunicativo del progetto: entrare in contatto nei diversi luoghi con le comunità locali e porre e far disporre la balena in una nuova suggestione collettiva.