È il viaggio, il rapporto tra realtà dissimili che si incontrano ed integrano, insieme al nomadismo, il filo rosso che collega le tre mostre in corso presso lo spazio espositivo toscano. Si parte da Bruno Peinado (1970, Montepellier), al piano terra della galleria. L’artista si muove sul limite tra diversi linguaggi, optando per la contraddizione e la miscellanea di sentimenti, retaggi, mezzi espressivi che traggono spunto dalla vitalità pop americana dell’assemblaggio estremo, dell’ammucchiare sfrenato. Quell’atteggiamento, insomma, che banalizza il più raffinato ed europeo Merzbau, di Schwitters ed, espropriandogli ogni velleità concettuale, lo popolarizza, valorizzando i singoli frammenti che lo compongono. Qui siamo dinanzi, invece, ad una composizione apparentemente rigorosa, in cui però la con-fusione è data dalla ricchezza di riferimenti e messaggi. L’installazione di parallelepipedi colorati ricorda le auto schiacciate di Cesar, raffreddate dell’alone di tragedia ballardiana. Le tavole da surf, crocifisse al muro da asce, si rifanno alla tradizione americana popolare ed eroica di Un Mercoledì da Leoni. Le sagome dai sorrisi inquietanti alludono a tradizioni tribali tratte dal patrimonio di esperienze personali del creolo Peinado.
Al piano inferiore è un altro paio di maniche. Il cinema trasmette in diretta la ripresa a camera fissa di un’installazione di Cai Guo-Qiang (1957, Quanzhou, Cina), Stage, un palcoscenico montato en plein air nella campagna senese. Qui la società dello spettacolo perde i suoi attori e diventa un luogo di meditazione solitaria.
Un invito a guardare indietro e nel presente. Ad operare una riflessione sulla realtà del quotidiano. L’opera di Guo-Qiang è un reality show privo di colpi di scena, di personaggi o tresche. Un discorso sul limite sottile che separa la vita dalla sua rappresentazione. Tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.
Bisogna fare quattro passi a piedi per raggiungere la project room e vedere In a sentimental Mood di Giovanni Ozzola (Firenze, 1982). Si tratta di un’installazione ambientale a diffusione luminosa in cui l’intensità dell’emissione è regolata sul respiro del visitatore. È il rapporto romantico tra luce ed ombra –il blu avvolgente sullo sfondo– e tra contrasto visivo e corpo umano, a rafforzare la tensione emozionale del lavoro del giovane fiorentino. Basato su astute strategie retoriche, dardi precisissimi indirizzati al cuore dello spettatore. Più scientifico è invece il video girato nel deserto del Sinai, una catalogazione sistematica di effetti di luce, errori percettivi e fate morgane.
In cui il viaggio si trasforma in racconto visivo, una Storia dell’Occhio, per dirla alla Bataille, in cui l’esperienza sensoriale oltrepassa l’aneddotica. La visione la fa da padrona. E la conoscenza diventa un caleidoscopio colorato di giochi di rifrazione e zampilli di luce.
santa nastro
mostra visitata il 25 marzo 2006
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