Nelle sue “marine” c’è tutta la Viareggio dei primi del Novecento, e anche di più: c’è vita, c’è luce, c’è colore, c’è essenzialità. Moses Levy è dunque riuscito a esportare il meglio delle spiagge, del mare e della gente della Versilia – oltre che i volti, gli sguardi e le abitazioni della Tunisia, sua seconda patria; e ora è giunto il momento di ripagarlo. In barba a quei critici che ancora oggi stentano a riconoscere il suo valore. “Le sue mutazioni di stile dimostrano una scarsa personalità”, dicono. Niente di più falso. Per capirlo occorre davvero poco. Basta imboccare la strada che dal litorale versiliese ci porta sù, fino a Seravezza. E, arrivati lì, entrare nell’antico Palazzo Mediceo, dove è in corso la mostra Le stagioni del colore: circa 150 opere tra pitture, disegni, xilografie e incisioni, che ripercorrono passo dopo passo l’ascesa di Moses Levy. E’ vero, nel corso della sua carriera è stato influenzato sia dai suoi maestri sia dai numerosi viaggi. E per questo, mettendosi continuamente in gioco, è riuscito a sperimentare tecniche e linguaggi nuovi. Pur lasciando immutato lo stile. Di ogni sua opera colpisce il romanticismo dell’essenziale, del bianco luminiscente, dei colori brillanti e della luce. Ma anche della dolcezza materna e della sensualità femminile, e non c’è paesaggio, scorcio o veduta in cui non predomini, in primo piano, una figura di donna. Dalle giovani bagnanti ai pescatori tunisini, poi, tutti i personaggi di Levy si discostano dal vero oggettivo:
Discorso diverso per i disegni a carboncino e le xilografie in mostra nella prima sala. Qui, complice l’influenza di Lorenzo Viani – compagno di banco di Moses Levy all’Istituto d’arte di Lucca –, le figure appaiono primitive. Il tratto è crudo, deciso, aspro. Per questo sono di straordianrio impatto. Proseguendo nelle sale successive, poi, è possibile rivivere la prima fase “macchiaiola” – il primo maestro di Levy è stato appunto Fattori – che si manifesta nell’utilizzo contemplativo del colore e nelle pennellate spezzate – come nel dipinto Bambine nel giardino e nei due ritratti di Giulia Lenci. Corrente che abbandonerà per sperimentazioni futuriste, che raggiungono altissimi vertici espressivi in Cinema Eolo, Giovinette nell’acqua e soprattutto con il dinamismo de Il Tram n. 7. Il resto della produzione è caratterizzato dalla vitalità dell’immagine e dei colori, che Levy non abbandonerà mai. Le vicende politiche e i fermenti culturali, poi, hanno fatto il resto, spingendolo sempre più verso interpretazioni soggettive, astratte ed essenziali.
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