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30
novembre 2009
fino al 7.I.2010 Mario Sironi Peccioli (pi), Museo delle Icone Russe
toscana
Quaranta opere grafiche dalla Estorick Collection di Londra. La testimonianza di un rapporto imprevisto e profondo. La possibilità di riesaminare uno dei grandi “controversi” del Novecento...
Gli incontri decisivi, da cui deriva un rapporto
importante e magari una profonda amicizia, sono spesso inaspettati. Partendo
per la Svizzera in viaggio di nozze, i coniugi Eric e Salome Estorick non
potevano certo immaginare che, tramite una serie di conoscenze trasversali,
avrebbero incontrato a Milano Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961). Né l’artista
doveva attendersi che un mattino, grigio come tanti altri eppure speciale,
avrebbe ricevuto la prima visita di un ammiratore straniero.
È il 1948, l’occasione sarà feconda di conseguenze per
entrambi: Estorick ne riceverà l’impulso fondamentale a diventare
collezionista, da allora con inclinazione particolare per l’arte italiana,
mentre l’artista avrà l’opportunità di esporre e farsi conoscere in terra
inglese.
Sironi non fu certo una personalità semplice, la sua
adesione al fascismo è nota; dunque non stupisce che proprio un americano,
libero da ogni pregiudizio storico, sebbene di origine ebrea, potesse
riconoscerne in modo incondizionato l’alto valore.
Ma qual è esattamente il ritratto che emerge dalla
collezione grafica, tutta risalente al periodo giovanile, acquistata da
Estorick e ora temporaneamente esposta al Museo delle Icone Russe di Peccioli? (Comune che, vale la pena di ricordarlo, da tempo s’impegna in iniziative
culturali efficaci.) Questa prima produzione oscilla fra termini opposti: da
una parte la tentazione del dinamismo futurista, dall’altra il fascino
misterioso dell’immobilità metafisica. Nel mezzo, senza che ve ne sia ancora
una chiara consapevolezza autoriale, s’intravede il termine medio e risolutore:
la linea robusta del disegno.
Appunto il disegno, i contorni ruvidi, gli impasti densi
sono elementi che Sironi approfondirà con costanza per tutta la vita, fino ad
arrivare a uno stile personale inconfondibile. Ed è evidente ormai che
emarginare il pittore a un ruolo minoritario proprio per questo – per una
maniera arcaizzante, che si vorrebbe derivata da posizioni ideologiche
reazionarie – non è che prassi scontata e dozzinale. C’è piuttosto la necessità
di riesaminare le ragioni profonde di una scelta e i risultati che a essa
conseguirono.
Il fatto stesso che l’artista abbia prima sperimentato e
poi abbandonato Futurismo e Metafisica è una testimonianza importante. Potrebbe
rivelarci che il successivo Novecento non fu soltanto una parentesi di mediocrità
intellettuale o un servile compromesso con il potere ma, almeno nei suoi
esponenti più validi, una presa di coscienza circa l’inutilità in arte di
concetti come vecchio e nuovo.
Dopo la dissoluzione delle regole formali a opera della
avanguardie, davvero si poteva ritenere più innovativo un epigono del Cubismo
piuttosto che un cultore della classicità? Il ritorno alle origini non fu
conseguenza delle rivoluzioni precedenti? E, ipotizzando con più azzardo,
immaginiamo un percorso che da quel punto giunge fino a noi: il postmoderno, il
manierismo, o come si voglia definire quest’epoca, non è ancora citazione ed
elaborazione del già visto?
importante e magari una profonda amicizia, sono spesso inaspettati. Partendo
per la Svizzera in viaggio di nozze, i coniugi Eric e Salome Estorick non
potevano certo immaginare che, tramite una serie di conoscenze trasversali,
avrebbero incontrato a Milano Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961). Né l’artista
doveva attendersi che un mattino, grigio come tanti altri eppure speciale,
avrebbe ricevuto la prima visita di un ammiratore straniero.
È il 1948, l’occasione sarà feconda di conseguenze per
entrambi: Estorick ne riceverà l’impulso fondamentale a diventare
collezionista, da allora con inclinazione particolare per l’arte italiana,
mentre l’artista avrà l’opportunità di esporre e farsi conoscere in terra
inglese.
Sironi non fu certo una personalità semplice, la sua
adesione al fascismo è nota; dunque non stupisce che proprio un americano,
libero da ogni pregiudizio storico, sebbene di origine ebrea, potesse
riconoscerne in modo incondizionato l’alto valore.
Ma qual è esattamente il ritratto che emerge dalla
collezione grafica, tutta risalente al periodo giovanile, acquistata da
Estorick e ora temporaneamente esposta al Museo delle Icone Russe di Peccioli? (Comune che, vale la pena di ricordarlo, da tempo s’impegna in iniziative
culturali efficaci.) Questa prima produzione oscilla fra termini opposti: da
una parte la tentazione del dinamismo futurista, dall’altra il fascino
misterioso dell’immobilità metafisica. Nel mezzo, senza che ve ne sia ancora
una chiara consapevolezza autoriale, s’intravede il termine medio e risolutore:
la linea robusta del disegno.
Appunto il disegno, i contorni ruvidi, gli impasti densi
sono elementi che Sironi approfondirà con costanza per tutta la vita, fino ad
arrivare a uno stile personale inconfondibile. Ed è evidente ormai che
emarginare il pittore a un ruolo minoritario proprio per questo – per una
maniera arcaizzante, che si vorrebbe derivata da posizioni ideologiche
reazionarie – non è che prassi scontata e dozzinale. C’è piuttosto la necessità
di riesaminare le ragioni profonde di una scelta e i risultati che a essa
conseguirono.
Il fatto stesso che l’artista abbia prima sperimentato e
poi abbandonato Futurismo e Metafisica è una testimonianza importante. Potrebbe
rivelarci che il successivo Novecento non fu soltanto una parentesi di mediocrità
intellettuale o un servile compromesso con il potere ma, almeno nei suoi
esponenti più validi, una presa di coscienza circa l’inutilità in arte di
concetti come vecchio e nuovo.
Dopo la dissoluzione delle regole formali a opera della
avanguardie, davvero si poteva ritenere più innovativo un epigono del Cubismo
piuttosto che un cultore della classicità? Il ritorno alle origini non fu
conseguenza delle rivoluzioni precedenti? E, ipotizzando con più azzardo,
immaginiamo un percorso che da quel punto giunge fino a noi: il postmoderno, il
manierismo, o come si voglia definire quest’epoca, non è ancora citazione ed
elaborazione del già visto?
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Metafisica
Museo delle Icone
Russe F. Bigazzi
Piazza del Popolo,
5 – 56037 Peccioli (PI)
Orario: mercoledì,
sabato, domenica e festivi ore 10-13 e 15-20
Ingresso: intero € 5,5; ridotto
€ 3,5
Catalogo disponibile
Info: tel. +39
0587672158; info@fondarte.peccioli.net;
www.museoicone.it
[exibart]