Paradiso di chi soffre di horror vacui e visioni da girone infernale, le opere del marchigiano Paolo Consorti vanno lette come un ipertesto dove ogni particolare trova nessi in filmografia, mitologia, arte classica e fiamminga.
Reduce dal successo ottenuto da Herrmann & Wagner a Berlino l’artista presenta quindici nuove opere. Vi si condensano il passato, il presente e il futuro. La pittura viene utilizzata sia nella definizione dei personaggi, sia nel ritocco della tela ormai ultimata. Un set da orto botanico realizza lo sfondo scenografico con forti “caratteristiche di verosimiglianza naturalistica che si configurano come paesaggio” per dirla con il critico Valerio Dehò. E poi l’elaborazione digitale come fase intermedia tra costruzione scenica e realizzazione finale. Il filtro digitale serve a comporre le immagini, arricchirle di particolari e creare la dimensione di tempo sospeso che caratterizza tutta l’opera di Consorti. Il modello accuratamente composto viene ripreso dal vero, arricchito di figure e di effetti, poi stampato su tela. Il risultato è un’apocalisse onirica che richiama Bosch e Bruegel. Ma Consorti sembra osservare con distacco le proprie creazioni, non ci sono intenti moralisti né partecipazione emotiva. Come voce fuori campo racconta, e il suo narrare è acritico e laico.
Tute coloratissime da iperspazio, materassini da mare e tante figurine che sanno di elfi e folletti. Il tutto immerso in uno sfocato paesaggio che presenta sia tratti reali che divagazioni visionarie.
Elementi da barriera corallina si mescolano con algide forme di ghiacciai nordici. Indizi di fiabe sono sparsi qua e là nella narrazione compositiva che spesso richiama il paesaggio seicentesco in cui levitano personaggi e volti smarriti. Personaggi che sembrano “avvertire un senso di solitudine e spaesamento” (Calvino), come si fossero trovati per caso in quel mondo strano, allettante e pericoloso.
daniela cresti
mostra visitata il 10 novembre 2005
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