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Fino al 8.IX.2002 Man Ray – L’immagine fotografica Lucca, Fondazione Ragghianti
toscana
E’ il 1976. E la Biennale di Venezia dedica un’ampia retrospettiva al genio della fotografia Man Ray, che per l’occasione cura personalmente l’allestimento delle sue opere seguendo un attento criterio filologico di selezione…
A poche settimane dalla conclusione di questo evento, Man Ray muore. E’ il 18 novembre del 1976. E oggi la Fondazione Ragghianti, nel complesso monumentale di San Micheletto, ripropone la stessa colossale esposizione: 160 opere fotografiche che ripercorrono cinquant’anni di attività, cui si aggiunge la proiezione dei quattro film – straordinario esempio di sperimentazione cinematografica – realizzati dall’artista fra il 1923 e 1929.
Salendo la ripida scalinata che – quasi trionfalmente – conduce all’ingresso della mostra, è difficile immaginare cosa ci aspetta. Un piccolo corridoio con documenti e libri esposti ci introduce alla prima sala. Che si apre inesorabile, rievocando le prime grandi opere del Man Ray che meglio conosciamo: cioè l’artista-fotografo. Pittore, prima che fotografo innovativo e sperimentatore, Man Ray riesce a inventare, modellare e dominare il linguaggio e la comunicazione dell’immagine. Anzi, è proprio grazie alla sensibilità figurativa tipica del pittore che l’artista riesce a fare della fotografia un’arte. E comincia così, fotografando ciò che gli è più familiare: prima i suoi quadri, poi quelli degli amici. Infine i suoi disegni. Ed è con alcuni di questi primi scatti, tutti datati 1917, che Man Ray decide di aprire la mostra. Che prosegue con immagini che non sono più solo trasposizione della realtà, ma invenzione e interpretazione dell’oggetto. Man Ray non utilizza come strumento la macchina fotografica, ma l’anima. Con cui legge, interpreta, inventa e ripropone. Superando anche la crisi rappresentativa lamentata dall’Avanguardia. Come nel celebre Coat Stand (L’attaccapanni, 1920): in questa immagine – paragonata allo Scolabottiglie di Marcel Duchamp – l’artista si supera, scavalcando il significato “quotidiano” attribuito all’oggetto attraverso la giustapposizione con il corpo di donna, che ha il volto statitico della sagoma e una gamba “amputata” dal gioco d’ombra. Man Ray, però, non si ferma qui. E, complice la casualità, sperimenta nuove tecniche. Come il rayogramma, ad esempio. Attraverso il semplice contatto di un oggetto o di un raggio di luce sulla carta, l’artista lacera prepotentemente i confini del linguaggio fotografico. Proponendo composizioni giudicate impossibili fino ad allora. Ma il genio di Man Ray si spinge oltre con la tecnica della solarizzazione: sovraesponendo in camera oscura, l’artista ottiene indefinibili inversioni cromatiche. Con cui realizza soprattutto i ritratti, quasi “pittorici” per la forte penetrazione psicologica, per gli sfondi indefiniti, per i profili marcati e per gli sguardi persi orientati all’infinito. Imperdibili quelli di André Breton (1932), Marcel Duchamp (1922), Pablo Picasso (1922), James Joice (1922) e George Braque (1930).
Gianluca Testa
Man Ray – L’immagine fotografica; Lucca, Fondazione Ragghianti; Complesso monumentale di San Micheletto;via San Micheletto, 3; Fino all’8 settembre 2002; Orario: mar_dom 10.30-12.30, 16-20 (lunedì chiuso); Catalogo “Man Ray – L’immagine fotografica” in mostra a € 10 (testi a cura di Vittorio Fagone e Janus); Ingresso libero; telefono 0583 467205; fax 0583 490325; e-mail ragghianti@tin.it; sito Internet www.fondazioneragghianti.it
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