Metti un grande progetto, che coinvolge tre importanti spazi espositivi senesi. Metti, a curarlo un autorevole semiologo nostrano come Omar Calabrese, un bel nome dell’establishment culturale italiano. Così Ipermercati dell’arte è un enorme contenitore di merci. Opere d’arte come segni depotenziati della loro aura, fanno il verso a mercanzie e prodotti di consumo -citando, ironizzando, ribaltando, riproducendo, emulando- per contestare o prendere atto di un’imprescindibile condizione: la mercificazione della cultura e la massificazione della società. Nulla di nuovo all’orizzonte, dunque. Indispensabile diventa allora la presenza di una chiave forte che illumini il già detto, grazie a uno spostamento, una rilettura, una suggestione nuova.
Un lungo percorso che attraversa gli ultimi quarant’anni di storia dell’arte, articolato in tre aree tematiche flessibili e un po’ pretestuose; 150 opere, che, scivolando da una categoria all’altra, sfuggono a ogni immediata classificazione.
Misure. Il consumo rappresentato mette insieme lavori che ricalcano forme e dinamiche della pubblicità e della società dei consumi, ibridandole con linguaggi propri dell’arte. Immancabili Mimmo Rotella con uno dei suoi décollage, gli “impacchettamenti” di Cristo (progetti su carta), un Andy Warhol, o il contro-manifesto di Barbara Kruger che urla un po’ beffarda, un po’ cartesiana il famoso Compro dunque sono. Sempre ammaliante il Clear Glass Stack di Tony Cragg, precario castello di bicchieri e bottiglie. Poi una “compressione” di Cesar, le sedie di Franz West, in bilico tra arte e design, e le raffinate installazioni di Nam June Paik, Chen Zen, Panamarenko e Ben Vautier.
Dismisure. Il consumo ironizzato, racconta del desiderio degli artisti di giocare con la realtà. Un’operazione di riciclaggio che mescola segni e attributi eterogenei, ribaltando la natura degli oggetti. Dalla barocca installazione di Fabrizio Plessi, che domina l’ingresso, si procede attraverso le declinazioni poetiche e concettuali di Jan Fabre, Gugliemo Achille Cavellini, Joseph Beuys; dall’ironia raffinata di Wolf Vostell e Marco Papa, a quella più a buon mercato di Adamo Modesto, Claudio Francia, Claudio Maccari, passando per le digressioni kitch di Silvio Casotti e Luigi Serafini.
L’ultima sezione, Contromisure. Il consumo contestato, è dedicata alle posizioni di dissenso che gli artisti hanno espresso contro la cultura del consumo. Scontata ma irrinunciabile guest star, la merda d’artista di Piero Manzoni; bella la Maison malate di Jean Susplugas, discarica del farmaco di massa; gli 0100101110101101.ORG presentano il progetto –già esposto in Austria- per la costruzione di un monumento pubblico dedicato alla Nike; esplicita la pubblicità animata di Guillaume Paris, uno yogurt che “reclamizza” i propri effetti nocivi antiecologici; e poi gli interni di case africane, negli eccellenti scatti Zwelethu Mthethwa, le foto di Italo Zuffi, in cui sacchetti per la spazzatura finiscono come coperture per sculture, e quelle di Erwin Olaf, improbabili set pubblicitari in cui suore, infermiere e serial killer indossano esclusivamente jeans Levi’s.
Molti i nomi importanti, che si mescolano però a una quantità di presenze piuttosto deboli (alcune –Fanello, Maccari…- di palese derivazione localistica), cosicché, accanto ad opere incisive, non manca il rumore di fondo.
Al termine del percorso l’impressione è che quella promessa chiave di lettura inedita non sia venuta fuori abbastanza. Nonostante il tentativo di costruire una griglia il più possibile chiara (“questa è una mostra omarcalabresica” ha dichiarato Oliviero Toscani -coinvolto in un evento a latere- durante la presentazione), che orientasse lo spettatore nella selva di nomi e opere, l’intento resta ambiguo. Ambiguità probabilmente fisiologica ed intrinseca al tema.
Calabrese sceglie di disseminare la mostra di citazioni colte, rubate alla letteratura, alla filosofia, alla semiotica, agli scritti degli stessi artisti. Note al margine delle opere, che purtroppo non eludono l’effetto didascalico.
helga marsala
mostra vista il 9 ottobre 2004
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sì, ma il monumento alla Nike l'ha fatto David Fagioli quasi dieci anni fa...
La mostra è bella, ma gli 01.ORG sono fantastici...
il monumento, naturalmente, non è stato costruito, ma l'infobox a vienna c'era e come: http://www.0100101110101101.org/home/nikeground
rimane il fatto che gli 01101.org non fanno niente, ma dico niente di nuovo e interessante.
ieri alla permanente hanno regalato una performance della pochezza di contenuti che caratterizza il loro lavoro.
avanguardia di provincia, nemmeno da centro sociale.
si leggessero luther blisset/wu ming tanto per cominicare a capire che l'artista inventato di sana pianta ha dei precedenti...
a casa! e ridateci i soldi del biglietto!
Vabbé la storia del finto monumento la conosciamo tutti ma "il progetto" 01 mi sembra sia stato attuato proprio in Austria. O no?
..."gli 0100101110101101.ORG presentano il progetto –realizzato in Austria- per la costruzione di un monumento pubblico dedicato alla Nike"...
Chi conosce bene il lavoro degli 0100...assorrata ecc.. (quindi non chi scrive l'articolo) sa benissimo che non e' così. E' tutta una provocazione virtuale e basta.
bell'informazione...
saluti
n a m e l e s s
Ognuno di noi è libero di dare il proprio giudizio, ma il progetto degli 01.ORG di Nikeplatz a Vienna resta uno dei più originali degli ultimi anni della storia dell'arte contemporanea. Basta capire come si sono infuriati la Nike ed i cittadini viennesi a suon di avvocati...perdendo la causa, ovviamente.
Gli 01.ORG non sono degli sprovveduti, sono stati alla biennale di Venezia con un altro capolavoro.