La definisce
biotecnologia outsider il newyorkese
Shane Hope, protagonista -per la prima volta in Europa- del secondo evento espositivo del neonato spazio di Prato. In mostra s’incontrano dapprima le immagini derivate dal software usato per la visualizzazione di aggregati molecolari, modificate fino a ottenere organismi ancora non esistenti, seppure possibili. Quasi tutti titoli delle immagini rimandano infatti la data in cui saranno realizzati.
Sembra però di dover rinunciare a trovare qualche contatto con l’ambito del cosiddetto
post-human, poiché qui non c’è dialettica, ibridazione tra naturale e artificiale. Non ci sono virtuale e reale che si contaminano. C’è solo il virtuale che, unico esistente, almeno per il momento, tra i due poli, acquista lo statuto di
reale. Non solo: arriva fino a comprendere il narrativo. Basta guardare di nuovo i titoli di alcune delle opere per vedere come, con un linguaggio che sembra anch’esso aver subito una mutazione genetica, Hope descriva le immagini come se fossero scontri e incontri.
Così, se Eugene Thacker -nel testo
Astrobiologies consultabile sul sito della galleria- osserva come la CGI (computer-generated imagery) sia utilizzata dalla fantascienza in modo funzionale alla storia, permettendo di visualizzare “
l’invisibile, o, più comunemente, l’impossibile” (fino a divenire sinonimo di DNA), qui si ha l’impressione che l’immagine
sia la storia.
Una storia di attrazioni e repulsioni, che permettono alle molecole di aggregarsi. Si osservano allora in modo diverso le immagini complesse dai colori squillanti, appiattite in un non-spazio nero.
Su un altro piano, certamente più materico, le altre opere presenti in mostra sono ugualmente il risultato di un’aggregazione. Dalle prese escono, come infiltrazioni, piccoli organismi brulicanti in cui fili, foglie secche, occhi, animali, piccole faccine scheletriche si combinano in una forma di vita ambigua, vagamente inquietante, si direbbe quasi carnevalesca, in cui l’individualità cede il passo a una sorta di morbosa contaminazione. All’inizio quasi invisibili a causa delle dimensioni trascurabili e del luogo dove sono situati, una volta che ci si accorge di loro ci si muove consapevoli della loro stessa presenza. E della loro forza di attrazione.
Conclude la mostra un video girato con un videomicroscopio in cui gli aggregati materici sono messi in movimento con fili, ganci o semplicemente con le mani. Un altro modo per esprimere le forze da cui gli organismi sono animati, insieme a mezzi più propriamente filmici come gli zoom improvvisi o i cambi d’inquadratura.